Lupo, la parola a Giancarlo Ferron: “È un animale che ripristina la biodiversità”

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Il ritorno del lupo è uno dei temi di attualità che maggiormente interessano l’opinione pubblica. Ogni notizia che lo riguarda scatena una sorta di scontro triviale tra le solite due fazioni. Chi “difende” a prescindere l’azione del lupo e chi dall’altro sottolinea l’impatto che questo animale predatore ha sulla fauna stanziale.
Per cercare di discutere con serenità della “questione lupo” ne abbiamo parlato con Giancarlo Ferron, scrittore vicentino e naturalista, già autore di bestseller come “Ho visto piangere gli animali”, “Uomini e bestie in cammino”, “I segreti del bosco”, “La mia montagna” ed altri. Titoli che ne fanno uno degli scrittori italiani più prolifici e letti dell’attuale panorama nazionale. Ci auguriamo che questa intervista possa offrire una chiave di lettura che vada oltre la superficialità di cui è intrisa la discussione media sul lupo, informando su un tema di cui si sa poco e parla molto.

Il lupo da qualche anno è tornato ad essere protagonista nelle Alpi. Nel vicentino si sono moltiplicati gli avvistamenti sulla fascia Pedemontana e soprattutto sull’Altopiano di Asiago. Iniziamo con una domanda chiave per introdurre il discorso.
-Si tratta di un ritorno naturale o “artificiale”? Penso al progetto comunitario “Life Wolfalps” (6 milioni di euro stanziati) al quale il Veneto ha aderito, cofinanziando con 130mila euro: la presenza di lupi nel vicentino è una conseguenza della reintroduzione del lupo in Lessinia?

Dobbiamo subito intenderci sui termini: la parola “reintroduzione” è completamente sbagliata anche per quanto riguarda la Lessinia. Il lupo è arrivato da solo in Lessinia veronese, come è arrivato da solo sulle montagne vicentine e nel resto del territorio italiano. Si tratta di una ricolonizzazione spontanea, e sottolineo due volte il termine “spontanea”. Chi dice il contrario lo fa per il piacere della polemica o per una semplicistica convinzione personale basata sulle notizie del bar sport.

All’inizio degli anni ‘70 il lupo è stato dichiarato specie protetta da leggi nazionali e internazionali perchè era una specie a rischio di estinzione. Il lupo in Italia era ridotto ad una popolazione striminzita confinata nell’Appennino centro meridionale, dove la pastorizia e il lupo hanno sempre convissuto fin da tempi immemorabili. A partire da quegli anni, dopo che le montagne sono state gradualmente abbandonate dall’uomo e si sono ripopolate di grandi mammiferi, come caprioli, cinghiali, cervi e camosci, il lupo ha cominciato la sua ricolonizzazione. Oggi, i lupi appenninici sono arrivati con le loro zampe in Piemonte, in Francia, in Svizzera, in Lessinia e in Altopiano.

Chiarito questo fatto è ora necessario spiegare le questioni che riguardano il cosiddetto “Life Wolfalps” o progetto lupo. Chi ha letto i documenti di questo progetto sa che non si parla mai di “reintroduzione del lupo” o di altre operazioni del genere. I finanziamenti del progetto servono al monitoraggio del lupo, ovvero alla ricerca sul campo finalizzata alla raccolta di campioni biologici per conoscere la consistenza della popolazione e i territori colonizzati dalla specie. Ancora, i finanziamenti del progetto servono a “mitigare” i conflitti con gli allevatori fornendo loro consulenza qualificata e, soprattutto, sistemi di prevenzione: recinti elettrici, dissuasori acustici, cani da guardiania. Un altro punto del progetto riguarda la lotta al bracconaggio.

E’ noto che nel 2012 due lupi, una femmina italiana ed un maschio proveniente dalla Slovenia, si sono incontrati sui Lessini.
-In relazione a questo accoppiamento come è intervenuto il progetto Life Wolfalps? E’ stata protetta la riproduzione? Quanti lupi si presume gravitino attualmente nella zona della Lessinia e soprattutto nel vicentino? Capi che attualmente sono monitorati o non direttamente controllati dal gruppo di lavoro?

Il lupo è un animale protetto dalla legge fin dagli anni ‘70, non serviva e non serve il progetto Life Wolfalps per proteggere la riproduzione avvenuta in Lessinia. Tutto quello che si fa in più, grazie al progetto, è il monitoraggio e lo studio della specie sul campo. Quello che deve essere chiaro è che il lupo era protetto prima del progetto e lo sarà anche dopo, quando il progetto sarà finito o abbandonato. In merito al numero dei lupi presenti dobbiamo attenerci al report pubblicato recentemente dalla Regione Veneto, in quanto è un documento che si basa sulla raccolta di dati con metodo scientifico da parte di operatori formati ed esperti. In questo report si parla di una stima minima di capi presenti. Questo perché si può parlare di un soggetto di lupo presente su un certo territorio solo quando è stato mappato geneticamente. A fine inverno si parla di 7 lupi in Lessinia e di 2 lupi in altopiano. È ovvio che oggi è verosimile ipotizzare che in Lessinia ci sia stata una nuova cucciolata. In altopiano si ritiene che potrebbero esserci i due soggetti mappati geneticamente più un paio di giovani nati nella primavera del 2016, quindi si parla di un branco. Se c’è stata una ulteriore cucciolata questa primavera lo sapremo in seguito in base ai dati raccolti.

Ovviamente la ricolonizzazione e il progetto Life Wolfalps, che ha come scopo quello di “realizzare azioni coordinate per la conservazione a lungo termine della popolazione alpina di lupo” (www.http://www.lifewolfalps.eu/il-progetto-in-breve/), hanno portato delle conseguenze sulla fauna stanziale veneta. In Lessinia le aggressioni alle mandrie sono aumentate. Nel 2016 i lupi hanno attaccato 57 volte le greggi e gli armenti delle malghe della montagna veronese, uccidendo 64 capi, tra bovini e pecore. L’anno prima il branco aveva attaccato 43 volte, causando la morte di 45 capi e il ferimento di 3 (dati rilasciati dall’assessore regionale alla Caccia Giuseppe Pan). Trend dunque in crescita.
-La posizione degli allevatori a Suo avviso è stata sufficientemente tutelata (si veda anche il caso di Malga Paù a Roana, con i malghesi che settimana scorsa hanno deciso di tornare a valle con le vacche)? Molti di loro si lamentano della mancanza di contromisure adottate dalla Regione Veneto, con poche azioni previste a protezione delle greggi di capre, vacche e pecore, e della mancanza di ristoro dei danni subiti a seguito delle aggressioni dei lupi.

Il ristoro dei danni è certo e ci sarà con i tempi richiesti dalla burocrazia. I sistemi di prevenzione richiedono tempi tecnici per la distribuzione, la posa in opera, la manutenzione e per l’uso corretto. L’esperienza fatta nel resto d’Italia insegna che se questi metodi sono utilizzati correttamente annullano quasi completamente i danni. Tuttavia è corretto precisare che, probabilmente, certi tipi di allevamento in alpeggio saranno più difficili da portare avanti. Mi riferisco alla cosiddetta “linea vacca vitello”. I sostanza le vacche sono lasciate libere di pascolare in malga, partoriscono da sole e allevano il vitellino con il loro latte. Cioè il vitellino non viene allontanato dalla madre per sfruttare la produzione di latte della vacca, quindi sarà difficile proteggere adeguatamente i vitellini che restano all’aperto anche di notte.

Sull’Altopiano di Asiago i problemi sono ancora più cospicui: nel comprensorio della riserva di caccia di Gallio la popolazione di mufloni è crollata del 60-70% negli ultimi tre anni a causa delle continue aggressioni da parte dei lupi. Lupi che secondo la popolazione locale si aggirerebbero sulla decina di unità, e che tra l’altro stanno assumendo atteggiamenti “diurni”, con tanti avvistamenti a ridosso anche delle abitazioni. E’ notizia di oggi che un lupo ha tentato di aggredire dei vitelli nei pressi del consorzio di Asiago, sotto gli occhi di diverse persone. Mentre ormai non si contano più le aggressioni di lupi a diversi tipi di animale documentate con video e foto, puntualmente uscite sui media locali.
L’assessore Pan inoltre recentemente ha dichiarato che intende “sottoporre all’attenzione della Giunta regionale una ipotesi di piano di controllo della presenza del lupo in Veneto, che preveda, tra i vari interventi contemplati dalle normative vigenti, la possibilità di traslocare gli esemplari in soprannumero e di sterilizzare le femmine in età di riproduzione”. “E chiederò, inoltre che la Conferenza Stato Regioni discuta ulteriori risorse finanziarie complementari per sostenere gli interventi di prevenzione e compensare le perdite di reddito con liquidazione dei danni, visto che in Veneto tali risorse sono terminate. Solo se la questione verrà affrontata su scala interregionale, con il coinvolgimento diretto del ministero per l‘Ambiente, sarà possibile prevenire i rischi causati da questa specie predatoria e contenere in maniera concreta ed efficace i danni agli allevamenti”.

Questa suona come un’ammissione implicita di “eccesso di lupi” nell’area veneta, dando al contempo parzialmente ragione alle lamentele degli allevatori non ristorati dei danni e degli asiaghesi.
-Quali misure si dovranno dunque adottare nel breve periodo e nei prossimi anni per conciliare la ritrovata presenza del lupo sulla nostra montagna con la fauna stanziale (con mufloni, cervi e caprioli che ne stanno particolarmente soffrendo) e le esigenze dei malghesi, che vivono grazie all’attività in alpeggio?

Per la tutela degli animali domestici non ci sono altre soluzioni che adottare i sistemi di prevenzione conosciuti che sono di provata efficacia. Saranno necessari aggiustamenti, esperienza, buona volontà e impegno da parte degli allevatori ma il risultato arriverà. Nel resto del mondo e in Appennino gli allevatori non hanno mai rinunciato alla loro attività per colpa del lupo, si sono solo abituati a conviverci. Anzi, in molte zone dell’Appennino, i pastori non hanno mai smesso di convivere con il lupo.

Per quanto riguarda le specie selvatiche bisogna fare delle distinzioni. Il muflone non è una specie autoctona. Si tratta di un animale originario delle montagne dell’Asia, addomesticato dall’uomo in epoca neolitica e poi spostato dall’uomo stesso nell’isola di Cipro e in Sardegna. In queste isole si è inselvatichito senza conoscere mai il lupo in quanto assente da questi luoghi. Nella prima metà del secolo scorso alcuni di questi mufloni (addomesticati e inselvatichiti) sono stati catturati in Sardegna e trasportati sulle montagne del continente per avere un animale in più a cui sparare durante la caccia. In questo caso possiamo correttamente parlare di “immissione”. Come possiamo parlare di “immissione” (abusiva) di ibridi di cinghiale – maiale, che stanno facendo molti più danni dei lupi ma nessuno ne parla. Ora non si può pensare che questi mufloni semidomestici siano in grado di difendersi da un predatore come il lupo che neppure conoscono, quindi sarà inevitabile un crollo della consistenza di questa specie che, stando alle esperienze piemontesi, in alcuni casi si riprenderà in altri rimarrà bassa.

Per gli altri ungulati non c’è da preoccuparsi poiché si tratta specie che sono perfettamente in grado di cavarsela da soli. Il lupo riuscirà sempre a catturare qualche capriolo o qualche cervo perché il suo ruolo nella natura è quello del predatore, non può certo nutrirsi di foglie secche. Tuttavia, la dr.ssa Francesca Marucco, una studiosa di lupi di livello internazionale, in un suo libro parla di predazione “compensativa”. Ovvero, le predazioni dei lupi eliminano i soggetti che morirebbero quasi certamente per altri motivi. Chi conosce la natura sa benissimo che il ritrovamento di animali morti (prima della presenza del lupo) è un fatto normalissimo e molto frequente.

Non intendo commentare presunti avvistamenti, numeri inventati o iniziative politiche, però ci tengo a precisare che il lupo è un animale fortemente territoriale. Significa che non si può mai parlare di soprannumero perché in un certo territorio ci sarà sempre un numero di lupi adatto all’ambiente e non uno di più.

-Lei ha scritto anche un libro sul lupo, “Lo sguardo del lupo”, che non nasconde il suo ascendente per l’animale. Perchè secondo Lei è importante aver reintrodotto questo animale in un ecosistema che non lo vedeva più presente da uno/due secoli, con tutti i benefici/disagi che ne sono derivati? Sono motivazioni che giustificano tutti gli “squilibri” nella fauna stanziale causati da questo affascinante ma impattante animale?

Preciso ancora una volta che, per quanto riguarda il lupo, non parliamo di “reintroduzione” ma di ricolonizzazione spontanea. Detto questo non ho mai nascosto di provare un grande interesse e simpatia per ogni essere vivente che, a causa di un processo naturale, tende a ripristinare la primordiale ricchezza della “biodiversità”. In un recente libro, dell’epistemologo Telmo Pievani, si cita uno studio secondo il quale si è accertato che, la specie umana, è la causa della sesta estinzione di massa nella storia del pianeta. L’impoverimento della biodiversità priva la Natura della sua capacità di “guarire” le ferite che le attività dell’uomo provocano alla terra. Lo so che forse sto allargando troppo il discorso ma non si può ragionare di ambiente guardandosi la punta delle scarpe. In un ecosistema come quello delle nostre montagne, che ha grosse difficoltà a fare da contrappeso a una pianura completamente devastata, è importante che la Natura si riappropri di tutte le sue componenti, senza per questo allontanare l’uomo che, con la sua intelligenza, può reimparare a convivere con predatori come faceva un tempo.