CineMachine | Il testamento del dottor Mabuse

REGIA: Fritz Lang
CAST: Rudolf Klein-Rogge, Oskar Beregi, Theodor Loos, Otto Wernicke, Klaus Pohl, Karl Meixner, Wera Liessem, Gustav Dießl, Theo Lingen, Camilla Spira
GENERE: Poliziesco, Thriller
DURATA: 122 minuti
DATA DI USCITA: 1933

Che cos’è il cinema? È una domanda che spesso e volentieri ritorna fra i quesiti esistenzialisti di un piccolo cinefilo da strapazzo, come, per l’appunto, si ritiene essere il sottoscritto. Una delle tante risposte che potrei dare e, forse, una delle risposte a cui sono più profondamente coinvolto emotivamente, è che, nella mia opinione, il cinema è Fritz Lang.

Chi è Fritz Lang? Ne avevo parlato, in modo alquanto riduttivo, in un altro articolo, ma ora vorrei doverosamente ritagliare un riquadro un po’ più ampio, sulla figura dell’artista e su una sua opera che mi è capitato di rivedere recentemente: Il testamento del dottor Mabuse.

La storia è pura e semplice: il dottor Mabuse (Rudolf Klein-Rogge), oramai uscito totalmente fuori di testa, è stato internato in un manicomio criminale, dove il professor Baum (Oskar Beregi), direttore dello stesso manicomio, sta cercando di studiare gli scritti, apparentemente insensati, che Mabuse lascia sparpagliatamente, ogni giorno, dentro la sua cella. Nel medesimo tempo (ed è questa la scena con cui il film si apre), un giovane ex-poliziotto, di nome Hofmeister (Karl Meixner) sta cercando di scoprire chi manovra i furti, gli omicidi, le estorsioni di una pericolosissima banda di criminali. Scoperto l’arcano, Hofmeister si mette in contatto telefonico con il commissario Lohmann (Otto Wernicke) per rivelargli il nome del capobanda. Fatto sta che la conversazione viene troncata di netto, senza che venga rivelato tale nome e Hofmeister sparisce all’improvviso. Lohmann cercherà di indagare per scoprire che fine a fatto il giovane e, soprattutto, che cosa stava cercando di dirgli. Parallelamente a questi fatti, vediamo anche le azioni di uno dei membri della banda di criminali, ovvero Kent (Gustav Dießl), il quale sta perseguendo una sorta di redenzione dalla sua vita malavitosa, grazie all’amore che nutre per Lilli (Wera Liessem). Gli eventi, alla fine, si concateneranno, in una serie di alleanze e svolte di scenario, per risolvere l’enigma che si cela dietro le misteriose pagine del dottor Mabuse e per scoprire chi sia la mente che manovra tutte le terribili malefatte dei cattivi.

Riguardandolo, in un edizione italiana che non spicca certamente per i suoi pregi, mi sono sempre più convinto che quello che stavo guardando fosse la base da cui, ogni cineasta, dovrebbe partire, soprattutto se si parla di genere poliziesco. Di fatto, Lohmann sembra proprio l’epicentro caratteristico del commissario di polizia: furbo, diretto, intuitivo e che suscita molta simpatia da parte dello spettatore con quella sua faccia rotonda e il suo ghigno molto amichevole. Senza dimenticare, poi, che l’attore, Otto Wernicke, aveva già interpretato in un altro film di Lang (M- Il mostro di Dusseldorf) il ruolo del commissario Lohmann. I personaggi, la trama, le sequenze sono tutto uno studio tecnico-cinematografico apposito per portare sulla scena una storia esaustiva e d’effetto.

Lang ci regala, in questo piccolo capolavoro, delle scene entrate nella storia del cinema: lo spirito del dottor Mabuse che riesce a corrompere definitivamente la coscienza del dottor Baum, dove vediamo l’impiego della sovraimpressione che rende il tutto davvero molto inquietante e spaventoso, in certi punti; la scena della conta del denaro rubato; l’inseguimento in auto, con quegli alberi sullo sfondo che ricorda vagamente Boris Karloff mentre fuggiva a cavallo in I tre volti della paura di Mario Bava.

Dentro tutto questo, ricordiamo che il film era stato girato in Germania nel 1933, sostanzialmente l’anno dell’inizio dell’ascesa di Hitler al potere. Di fatto, il film diventa una evidente lente d’ingrandimento sull’assuefazione dell’ideologia criminale di Hitler. Il potere, quasi mistico, del dottor Mabuse, se pur non al suo apice, riesce a ghermire anche la mente più sofisticata, quella dell’uomo di scienza, ed asservirla ai suoi scopi. Qui possiamo pensare agli scienziati nazisti, alla scienza asservita al tremendo potere del nazismo e della sua ideologia.

Proprio per le sua deviazione sociale, il film fu bandito in Germania ed, ad oggi, di questa pellicola, vi sono state fatte diverse edizioni. Il mio consiglio, con un minimo di sforzo, è di guardare la storia in lingua originale (tedesco) con l’ausilio dei sottotitoli in italiano, anche perché non credo ne sia mai stato fatto un ridoppiaggio, quantomeno, decente.

Un’opera, certamente, non a livello di altri lavori di Fritz Lang, come Metropolis, ma certamente meritevole di nota e di massima considerazione, anche perché vedermi Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar con 4.5 stelle e Il testamento del dottor Mabuse con 2 stelle, fa capire, al sottoscritto, quando il livello di critica cinematografica sia sceso e fa capire a voi, miei cari lettori, quanto la mia visione di cinema sia totalmente opposta a quella della media del pubblico contemporaneo.