Tatuaggi

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Stamattina mi sono svegliata con un desiderio impellente che mi ha accompagnata per tutto il giorno, come un tarlo: tatuarmi. Avete presente, voi tatuati, quella sensazione per la quale a volte si sente nostalgia/desiderio di quell’ago che disegna/segna il corpo? Quella spinta, immotivata a volte, ad avere un nuovo simbolo di cui curarsi e da coccolare? Non ne abbiamo mai abbastanza, noi tatuati, di incidere sul corpo.

I miei parenti e amici “bianchi come una pagina vuota di word” mi chiedono e si chiedono continuamente se non temo di stancarmi dei tatuaggi che mi sono fatta o che mi voglio fare. E si chiedono come ci si possa incidere frasi o disegni indelebili su un corpo che ci portiamo dietro un’intera vita. E queste domande se le pone chiunque non abbia tatuaggi verso chi li ha. Non posso parlare a nome di tutti i marchiati ma posso esprimere e raccontare la mia esperienza e i miei pensieri.

Innanzitutto, il primo tatuaggio è forse l’unico che mi abbia veramente segnata. Dico questo per far capire come l’esperienza del primo, nel mio caso una frase su un piede, nascosta e ben protetta da sguardi indiscreti, mi abbia poi spinta/convinta a farne altri otto nel giro di una manciata d’anni. Premettendo che sono molto estremista, o tutto o niente, o bianco o nero, o sempre o mai, o zero o cento, il che giustifica in parte la mia passione acquisita per i tatuaggi, devo ammettere che non ho mai avuto il minimo dubbio sulla possibilità di pentirmi a posteriori.

Ho inciso quella prima frase sulla mia pelle nel 2011: ricordo benissimo quell’euforia adrenalinica del pre-tattoo, quella sensazione di “sto per fare al mio corpo qualcosa di irrimediabile, indelebile e ai più non comprensibile” che mi ha spinta a chiedermi fino alla fine della seduta e anche dopo “faccio bene? Me ne pentirò? Ma cosa sto facendo? Sono davvero convinta? Cosa penserà la gente di me?”. Solo dopo un paio d’ore trascorse a fissare quella novità sul mio piede, ho smesso di sudare e sentirmi svenire dalla paura di un possibile pentimento. Ho iniziato a considerarla una creatura di cui aver cura e di cui andare fiera. Dopotutto, avevo solo inciso sulla pelle una frase che comunque martellava la mia mente da molti anni. In piena adolescenza l’avevo letta su un libro e fin da subito ho pensato che fosse stata scritta/pensata per me. Un motivo ci dev’essere se qualcosa ci colpisce tanto da rimanere indelebile nella nostra mente, e quindi perché non renderlo tale anche sul corpo? Corpo e mente non vanno divisi, giusto?

Giuro che ero sicura, come ripetevo continuamente, che sarebbe stato l’unico e il solo tatuaggio della mia vita. Nel giro di pochi mesi però, cadendo nella trappola tipica del “ne fai uno e non ti fermi più”, ho inciso un’altra frase, e poi un’altra ancora, e poi perché no, un disegno, e poi un’altra frase e via dicendo. E’ che sono diventata dipendente da quell’ago che incide così profondamente, da quell’inchiostro nero, da quel profumo di disinfettante, da quell’ambiente sterile, da quelle creme unte e grasse. E soprattutto, dopo aver scoperto la portata di un tale block-notes e aver messo da parte la paura dell’opinione altrui, non posso far altro che pensare e prendere nota delle varie idee che mi balzano per i prossimi marchi.