“Abbiamo sentito che poteva essere laggiù”: il racconto del ritrovamento del biker scomparso

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Se lo sentivano che poteva essere là in fondo e anche se era tardi, hanno continuato a scendere in quel canalone nella Valle del Rio del monte Priforà, un’area già perlustrata nei giorni precedenti e sulla quale avevano deciso di tornare ad insistere non lasciando niente di intentato. Hanno impiegato quasi tre ore per la discesa, ma quell’intuito non li ha traditi, perché Riccardo Martini era proprio là in fondo: il suo corpo è stato scorto quando ormai era quasi buio e i tre soccorritori già operavano con le torce frontali per illuminare il percorso e gli spazi circostanti, in mezzo alle rocce.

Le altre squadre della XI Delegazione delle Prealpi Venete erano già rientrate alla base, al soccorso alpino di Arsiero. Loro, specializzati e attrezzati alpinisticamente, hanno sentito che poteva essere davvero la volta buona per ritrovare Riccardo Martini, il 51enne di Piovene appassionato di mountain bike di cui si erano perse le tracce martedì verso sera.

E’ stato così che all’imbrunire di ieri, una squadra di soccorritori ha intravisto in fondo a un salto di quindici metri il corpo esanime del 51enne. Vicino, c’era la sua bicicletta Cannondale nera e verde con cui era partito per quell’escursione su sentieri tanto battuti dagli amanti della mountain bike.

A raccontare le ricerche di queste tre  drammatiche giornate che hanno tenuto con il fiato in sospeso non solo la comunità di Piovene – dove Martini abitava con la moglie Anna e i tre figli e dove risiedono i genitori – ma tutto l’Alto Vicentino, è Leonardo Calaon, vice delegato del Soccorso alpino Prealpi Venete, che ha coordinato le operazioni insieme al capostazione di Arsiero Giancarlo Casentini da mercoledì mattina, quando è stato chiesto il loro intervento da vigili del fuoco e carabinieri.

Il soccorso alpino è un corpo di pubblica utilità formato da volontari: persone specializzate per prestare soccorso a chi si infortuna o è vittima di un incidente nel territorio montano, nelle grotte e nelle zone impervie di tutta Italia. Sono volontari, svolgono quindi la loro vita “normale” e si attivano su chiamata. Se succede, mollano tutto, lavoro e famiglia e partono per dove c’è bisogno di loro. Nelle Prealpi Venete sono in 180, suddivisi in sei stazioni, da Verona ad Arsiero, Asiago, Padova, Recoaro-Valdagno e Schio. 50 quelli che in questi due giorni – da mercoledì mattina a ieri sera – alternandosi in squadre hanno cercato Riccardo Martini.

“Per fortuna non succede spesso di impiegare molto giorni a ritrovare una persona scomparsa in montagna, presumibilmente a causa di un incidente. Abbiamo lavorato quasi 24 ore su 24, coordinandoci con i vigili del fuoco che ci hanno messo a disposizione un elicottero e una quindicina di operatori. L’elicottero è stato fondamentale per ridurre i tempi di spostamento, portando i soccorritori in quota”. Chi ha agito in questi giorni era organizzato in squadre: nelle zone più impervie ha operato esclusivamente il soccorso alpino, nelle altre erano attivi anche i volontari della protezione civile e gli amici di Riccardo.

“All’inizio – spiega Calaon – ci siamo concentrati nei sentieri principali, ma mano che non lo trovavamo abbiamo allargato il raggio d’azione, cosa che comporta tempi di soccorso più lunghi e più personale. Abbiamo fatto dei sorvoli anche con l’elicottero. Temendo l’incidente e quindi che lo scomparso fosse ferito, la nostra urgenza non era perlustrare fin da subito in modo approfondito qualsiasi anfratto, ma concentrarci dove poteva essere maggiori le possibilità di trovarlo. Volevamo arrivare prima possibile, costruendo l’organizzazione in modo veloce” aggiunge Calaon. “Solo dopo che queste ricerche si sono rivelate vane abbiamo iniziato a ribattere zone già passate, scandagliando ogni possibilità. E’ stato ripassando una zona che avevamo già setacciato sia ieri che mercoledì che lo abbiamo trovato, calandoci più in profondità su un canalone. Avevamo il sospetto potesse aver sbagliato, ad un certo punto, il sentiero. C’era una supposizione sul giro che voleva percorrere sul Priaforà, sapevamo che aveva in mente di fare un sentiero abitualmente battuto dagli amanti della mountain bike, la discesa della Strenta”. Involontariamente, ritengono i soccorritori, Martini potrebbe aver sbagliato sentiero, imboccandone uno più impervio e non fattibile in bicicletta. “Ieri avevamo trovato su questo sentiero delle tracce di bicicletta sulla neve. Era ancora chiaro – aggiunge Calaon – e abbiamo voluto fare un ultimo tentativo, anche se era tardi. Sentivamo che poteva essere lì, tutte le informazioni si concentravano in quel luogo e abbiamo voluto insistere. Far lavorare i nostri tecnici di notte è sempre un rischio, ma abbiamo deciso di correrlo e i fatti ci hanno dato ragione”.

Ad agire, una squadra attrezzata alpinisticamente, che ha allestito delle calate in corda doppia sui salti di roccia del canale che affianca il sentiero. Ci hanno messo quasi tre ore ad arrivare in fondo. “E’ stato avvistato appena prima fosse buio – racconta Calaon – e abbiamo scelto di far rimanere lì tutta la notte i volontari, attrezzati anche per questo. Lo abbiamo fatto sia per rispetto della famiglia, sia per mantenere una sorveglianza sul cadavere, sia perché i volontari avevano impiegato tre ore per scendere laggiù e altre tre sarebbero servite per ritornarci la mattina. Temavamo questo epilogo, ma la speranza è sempre l’ultima a morire e ci auguravamo fosse ancora in vita, non sarebbe stata la prima volta”. Almeno, hanno potuto restituire alla famiglia un corpo su cui piangere.

Ora sarà l’autopsia a stabilire quando e come è morto Riccardo Martini.

Riccardo era molto conosciuto e apprezzato in paese per il suo impegno e la sua bontà d’animo. In molti oggi lo rimpiangono. Tecnico alla Sonus Faber di Arcugnano, che costruisce casse acustiche e per la quale si occupava degli acquisti e della pianificazione, lascia una moglie e tre figli.