L’ultimo saluto a Urbano Chemello, l’imprenditore che ha legato la sua storia a quella di Sarcedo

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

Si terranno mercoledì mattina alle 10,30 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Madonnetta di Sarcedo i funerali di Urbano Chemello, l’imprenditore del jeans di 77 anni morto ieri dopo lunga malattia. Fondò la Rober Confezioni, titolare del marchio Yuma Jeans, e negli anni ’80 per un decennio è stato anche presidente del Calcio Sarcedo (altra sua passione); ha sponsorizzato per alcuni anni anche il Vicenza Calcio. Lascia la moglie Antonietta Battistin, i figli Roberto, Paolo, Pierluigi e Marialuisa.

La salma arriverà in chiesa dal quartier generale dell’azienda, in via Bassano del Grappa 66. Quell’azienda da cui non si può prescindere per capire chi era. Negli anni ottanta non c’era famiglia Sarcedo che non avesse un parente impiegato alla Rober Confezioni. Giovani operaie, capireparto, manutentori, impiegati, commerciali: nel periodo più florido erano più di 250 le maestranze impiegate nella fabbrica e tutti, in zona, vestivano jeans Yuma.

Tutto però era nato qualche centinaio di metri più in là, in via Ca’ Cogollo: qui nel 1967, dopo anni di lavoro come sarto, Urbano Chemello aveva avviato in un garage l’attività in collaborazione con la moglie Antonietta; il primo spaccio di jeans era poco più di uno sgabuzzino al piano superiore e non c’era un garage dove poter tenere il furgone per le consegne dei jeans (furgone al quale – ricordo personale – davamo ospitalità nel garage di casa della mia famiglia).

Una manciata di anni dopo casa, fabbrica e spaccio si spostarono in un nuovo edificio dove ora ha sede la Sartoria Tramarossa – guidata dai quattro figli – e lo spaccio Top Market (ma per alcuni anni fabbrica e spaccio si spostarono anche negli spazi dell’ex lanificio Beaupain, sulle rive dell’Astico).

La Rober Confezioni era il tipico esempio di fabbrica con attorno una comunità e Urbano Chemello era un imprenditore che si era fatto letteralmente da sé, partendo dal nulla, lavorando sodo e mettendo in campo intuizioni che hanno fatto la storia del denim italiano. La sua era una di quelle aziende di famiglia che sono state l’ossatura del modello economico del Nordest, con tutto quello che ciò – anche nel caso di Chemello – questo ha comportato: successi, ascese, ma anche cadute, fallimenti, trasformazioni, ripartenze, sempre attraversati con una buona dose di orgoglio. La crisi della sua impresa diventò sul finire degli anni ’80 la crisi anche per i tanti fornitori e lavoratori che lavoravano grazie alla sua azienda, in un legame ancora una volta forte fra imprenditore e comunità. Furono anni difficili, per Urbano Chemello e di conseguenza anche per tante famiglie di Sarcedo. Anni anche di preoccupazioni e incomprensioni, perché se attorno a una fabbrica c’è una comunità che di quel benessere pure beneficia e che ha contribuito col suo lavoro a sviluppare, nei momenti di crisi diventa difficile gestire i rapporti, che sono personali prima ancora che professionali.

Sicuramente, per lui furono anni di grande sofferenza, che segnarono un “prima” e un “dopo”: ripartì con l’attività in Croazia, a Pola, e poi in Romania. A Sarcedo, da allora, la sua presenza in pubblico si è molto diradata, legata alla famiglia e ai figli, che una decina di anni fa hanno preso in meno il timone dell’attività. Ma questa è un’altra storia, di un’altra stagione.

Alla famiglia Chemello le condoglianze mie e della redazione.