Giallo di via Poma: clamoroso sviluppo a 35 anni di distanza dall’omicidio Cesaroni

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Giallo di via Poma, nuovi interessanti sviluppi sull’omicidio di Simonetta Cesaroni. “Torna l’ombra dei servizi segreti. Quell’ufficio era un centro raccolta dati per censire studenti”, così il famoso criminologo Francesco Bruno nel 1994. Intanto, la Procura si muove al confronto di 26 nuovi profili genetici. Rinvenuti i fogli firma di quel 7 agosto 1990: una persona era di turno di pomeriggio e non firmò l’uscita, come da prassi. In particolare erano stati sottratti quelli tra il 10 luglio e il 13 novembre 1990. Furono restituiti dal padre di Simonetta, il quale li aveva ricevuti da una donna che lavorava all’Aiag.

Altri aspetti da non sottovalutare. Nel manoscritto del giornalista Giampaolo Pellizzaro coautore del libro appena uscito e dal titolo ‘l’intrigo di via Poma’ edito da Baldini e Castoldi, tutto quello che abbiamo scritto sopra era già negli atti di indagine e già analizzato dai vari pm che si sono succeduti; ma, non fu mai realmente approfondito dagli inquirenti. Si parla di nomi, società e interessi che da via Gradoli per il caso Moro, passa per via Poma e arriva fino all’Olgiata e ha sempre, come punto di riferimento, alcune strutture e alcuni uomini degli apparati di sicurezza.

Il fatto. Ricordiamo che Simonetta Cesaroni lavorava nell’ufficio della sede regionale dell’Associazione italiana alberghi della gioventù due pomeriggi a settimana e venne uccisa in via Poma il 7 agosto 1990. Il periodo storico era quello dei Mondiali di calcio del ’90 e degli appalti in cui c’erano situazioni poco chiare. Sembra che qualcuno degli ostelli fosse implicato. Francesco Bruno, criminologo del Sisde (l’allora servizio segreto civile), intervistato dal quotidiano ‘L’lndipendente’ nel gennaio 1994, disse: ”Un uomo dei servizi lavorava all’Aiag”. Lo stesso criminologo del Sisde, con cui scrissi un libro nel 2018, aggiunse: “Qualcuno intervenne per ammorbidire l’indagine”.

La stranezza. L’inchiesta stranamente e per prassi doveva essere assegnata e presa in carico dalla sezione omicidi e non dalla squadra mobile, come sottolinea lo stesso giornalista Pellizzaro. In effetti alcuni componenti dell’Aiag furono interrogati molti giorni dopo e comunque non venne mai chiesto da nessun inquirente a chi la ragazza uccisa doveva riconsegnare le chiavi e il lavoro ultimato prima della chiusura estiva. Le chiavi della ragazza furono portate via. Ma soprattutto, alla luce della riapertura delle indagini, ci si pone una domanda a cui non è mai stata una risposta: chi era l’uomo che con un “fagotto” in mano e il cappellino usciva dal portone verso le 18.30? Ne parlarono alcuni testimoni.

La portiera fece due nomi. Il secondo non fu mai approfondito né venne mai preso e confrontato il suo Dna. Mentre l’altro, sempre indicato dalla stessa Giuseppa De Luca, fu passato al setaccio ma risultò essere in Turchia in vacanza. Il secondo indicato era una persona dell’Aiag, deceduto prima del confronto del Dna dei famosi 31 sospettati. Il sangue rinvenuto sulla scena del crimine era dello stesso gruppo sanguigno e si occupava delle chiavi dell’ufficio, come da lui dichiarato. Un’ ipotesi mai vagliata che potrebbe essere verificata.

Chi c’era quel pomeriggio assieme alla ragazza? Qualcuno sicuramente sa o sapeva. Questa come altre situazioni poco chiare. Pensiamo ci fossero almeno due persone in quegli uffici oltre alla vittima. Ragazza che nella mente di tanti si materializza in una famosa foto degli Anni Novanta. Una foto in cui si vede una giovane in spiaggia in costume da bagno intero di colore bianco: si chiama Simonetta Cesaroni. Questa nuova indagine è davvero l’ultima occasione per darle giustizia 35 anni dopo.

*Approfondimento a cura del documentarista e scrittore Paolo Cochi, dal quale riceviamo e volentieri pubblichiamo.