Calcio & Covid-19, chi sta dietro le quinte invoca tutela: “Invisibili, ma ci siamo anche noi”

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Immagine con grafica suggestiva dalla pagina Facebook della community

Noi siamo gli invisibili dietro le telecamere e dentro le regie. I nostri nomi e cognomi non compaiono neppure nei titoli di coda”. Eppure costituiscono i pilastri del celebre detto “The Show must go on“. L’appello viene dalla community composta da cameraman, tecnici rvm, fonici, addetti al mixer audio e controllo video e altri ruoli racchiusi nel “dietro le quinte”, che si sono riuniti – in 350 in Italia – nel gruppo spontaneo Broadcasteam.it. Sono parte integrante del mondo televisivo e dello spettacolo in particolare, sport compreso. Dimenticati a loro dire nella giungla dei contratti atipici, con il fiato sospeso in attesa del tutt’altro che scontato via libera alla ripresa del calcio professionistico e senza risposte ai molteplici interrogativi sul diritto alla salute. Da garantire a tutti, anche sta dietro alle “luci della ribalta”.

Bravi a “inquadrare” ma, giocando sulle parole, non riescono in nessun modo finora ad essere inquadrati. “Esistiamo anche noi – ci spiega Andrea Miotto, esperto di rvm, un portavoce che vive nell’Altovicentino – non siamo famosi come i calciatori ma anche noi viviamo in larga parte grazie all’indotto del pallone e dello sport in generale. Siamo quelli – sottolinea – che permettano al telespettatore di godersi le migliori emozioni comodamente dal divano di casa”. Tra i 350 freelance si contano anche una quindicina di operatori vicentini, di cui Andrea è l’unico eletto nel direttivo composto da 20 rappresentanti del ventaglio di tecnici “fuori schermo”, alle spalle cioè delle telecamere. Stanchi di attendere risposte che non arrivano.

Oggi rimangono fermi, senza lavorare da fine febbraio, non molti casi con compensi per incarichi già svolti ancora in sospeso a causa del blocco per l’epidemia, senza garanzie sul futuro nè sulla loro salute, in vista del possibile ritorno in (bordo) campo o nelle cabine mobili di regia. Sono stati i primi a essere stoppati, alcuni mentre si trovavno allo stadio per una gara di serie A, magari, quando è giunto l’ordine del “non si gioca”. Tutti a casa. Tra questi anche Miotto, già “schierato” per il match Verona-Cagliari, tornato sui suoi passi. Alcuni pur di portare qualcosa alle proprie famiglie hanno accettato di lavorare a gettone nelle zone rosse, qualcuno ha pure contratto il coronavirus.

Il retro del calcio. Il loro lavoro di norma avviene “a chiamata” nel circo del pallone pro, spesso il giorno prima di partire verso lo stadio o del palasport o la piazza – per concerti o eventi pubblici – dove è in programma l’evento da seguire. Di norma vengono ingaggiati dai service, agenzie intermediarie che ricevono l’incarico per esempio da Lega Calcio per le partite di serie A, B e C tra i professionisti. Hanno la valigia sempre pronta, e sono loro stessi a considerarsi dei “cani sciolti”. Una delle tante professioni atipiche, senza una vera rappresentanza sindacale: di contratti non se ne parla e meno ancora di “bonus” di 600 euro offerta dal governo. Solo pochi sono rientrati nei parametri indicati.

Invisibili“, anche questa è un’autodefinizione. Amara da sempre, dal sapore di veleno in questi due mesi e mezzo di emergenza sanitaria e conseguente stop obbligato di ogni tipo di show. Persone con famiglie e figli da sfamare, non “inquadrati” nemmeno dallo stesse telecamere che sanno maneggiare con maestria, regalando emozioni da ogni angolazione. Alcuni di loro hanno girato e rigirato il globo, riprendendo e mandando in onda in diretta le Olimpiadi, oltre che incontri dagli stadi di tutta Europa.

“Vorremmo capire cosa accadrà – continua Andrea Miotto – quando saremo richiamati al lavoro. Ci arrivano solamente voci di corridoio: ad esempio che i cameraman saranno ridotti per evitare un numero elevato di persone in campo. Poi, saremo per forza di cose a contatto con calciatori e arbitri: toccherà anche a noi la quarantena in caso di positività di chiunque partecipi a una partita in campo e fuori? E riguardo ai tamponi? Saranno fatti preventivamente anche a noi? Da chi? E chi lavora all’interno delle regie mobili, in spazi ristretti e con ricircolo interno di aria condizionata, come sarà tutelato? Gli spostamenti e i trasporti come avverranno, a maggior ragione se si deciderà di concentrare le partite solo nel Centro e Sud Italia?”.

Una miriade di legittime domande a cui nessuno sa dare risposta finora, nonostante il calcio occupi le prime pagine di testate nazionali e se ne parli in ogni telegiornale in questo giorni. Dimenticando chi fa da “ponte”, non solo radio ma anche video: senza questi “invisibili” il gioco calcio e il business che ruota attorno rischia di crollare, mentre si parla solo di pay tv, protocolli sanitari e chi vincerà campionato e Champion’s League. A porte chiuse e, forse, a telecamere spente.

LA LETTERA COMPLETA. “Tu che stai leggendo potresti essere un politico, amministratore, rappresentante di categoria, operaio, giornalista, disoccupato. Non importa, perché accendendo la tv, l’avrai pur vista una partita di calcio o qualsiasi altro evento sportivo o musicale. Noi che scriviamo siamo quelle donne e quegli uomini, madri e padri, che sotto il diluvio o con 40° all’ombra, facciamo in modo che tu possa vivere quell’evento, cercando il miglior dettaglio per amplificare la tua emozione. Siamo professionisti del broadcast.
In questi due mesi di emergenza sanitaria non s’è fatto che parlare delle difficoltà della società calcistiche, delle loro esigenze e di quelle dei giocatori, del grande business che non può fermarsi. Nessuno si è posto il problema di che fine avessero fatto quelli che producono lo spettacolo. Noi siamo gli invisibili dietro le telecamere e dentro le regie. I nostri nomi non compaiono nei titoli di coda. Noi siamo quelli che si barcamenano in una giungla di contratti atipici, lavoriamo a chiamata, percepiamo paghe che non corrispondono neppure al tuo abbonamento alla pay tv. Siamo quelli che per lavorare, alla vigilia del lockdown, sono andati nelle zone rosse perché lo show doveva continuare e ancora dobbiamo essere pagati. Siamo quelli che si sono ammalati di Covid-19 e nessuno ne ha parlato. Perché a te che leggi basta accendere la tv. Ora si parla di riapertura del Campionato di Serie A, si discute di quarantena, test sierologici, viaggi in sicurezza, tamponi, distanze di contenimento per i giocatori; si ipotizzano partite nei campi del Centro e del Sud Italia, di riduzione del numero di telecamere e quindi di personale tecnico. Continueremo dunque ad essere invisibili ed anche in numero inferiore. Come faremo a lavorare? Quali sono i protocolli allo studio? Come faremo a raggiungere i campi? Chi ci farà i tamponi? Chi ci garantirà il diritto alla salute? Siamo fermi da oltre due mesi, siamo stati i primi a fermarci e probabilmente saremo gli ultimi a ripartire e con nessuna tutela, in balìa di un mercato del lavoro non regolamentato. Sei certo che ci saremo? Saremo disposti ancora a mettere a repentaglio la nostra salute e quella delle nostre famiglie per garantire lo show?
Tu che vuoi che lo show riparta, poniti qualche domanda.

Lavoratori del BroadcasTeam