“Parolin, cuore grande: sua figura ancora centrale. Malignità in Vaticano? Sì, ma non su di lui”

Se molti italiani, nel vedere quella fumata bianca elevarsi solenne sopra le tegole e i tetti di San Pietro, hanno sussultato auspicando di sentir pronunciare il nome di un papa connazionale, nel vicentino quel nome aveva certo il volto gioviale e fraterno del cardinale Pietro Parolin.

Don Piero, come lo chiamano amabilmente a Schiavon: entrato papa e uscito cardinale. E mentre si sprecano le congetture fra ipotesi di faide e sgambetti tutt’altro che suggeriti dallo Spirito Santo, c’è chi come Luca Sandonà, pur laico, l’aria delle imperiose stanze vaticane l’ha respirata per diverso tempo e qualche idea, in questi giorni che odorano di storia, se l’è potuta fare: “Sono arrivato in Università nell’autunno 2013 per sostituire Johann Spitzer – racconta Sandonà, professore incaricato dal 2013 al 2019 di materie economiche nel corso di laurea magistrale di dottrina sociale della Chiesa nell’istituto pastorale Redemptor hominis della Pontificia Università Lateranense – un docente argentino che rientrava in patria. Qualche mese prima il cardinal Parolin era stato nominato Segretario di Stato da Papa Francesco, per cui fu normale che i nuovi colleghi mi presero un po’ in giro per l’accento veneto-vicentino simile a quello del numero 2 del Vaticano”.

Lo sguardo sorridente e quasi disteso di Parolin, ieri sera a fianco di Papa Leone

E anche Sandonà, sull’elezione del porporato vicentino, un po’ ci ha creduto, benché la scelta operata dal conclave non sia stata poi così un frutto troppo lontano dalla speranza coltivata: “Sono rimasto colpito favorevolmente da Papa Leone – prosegue Sandonà, che lasciò la cattedra pontifica per indossare la fascia tricolore di primo cittadino nella sua Caltrano – sia per lo spessore culturale che si è subito colto, sia per la scelta del nome nel segno della tradizione, ma anche dell’identità cattolica. Tuttavia, non nascondo di essere rimasto, per certi versi, con un po’ di amaro in bocca per la mancata elezione di Parolin, che emerge per un’amabilità umana pari alla competenza diplomatica. Negli ambienti vaticani che ho frequentato non è insolito che, magari sottotraccia, si rilevino gli aspetti negativi o controversi delle varie personalità al vertice della Chiesa: anzi, capita che lo si faccia talvolta con un garbo nettamente maggior ma con una malignità non minore rispetto ad altri ambienti laici. Eppure, su Parolin non ho mai sentito cattiverie di sorta. Forse questo rispetto, è legato al suo atteggiamento realmente umile, forse allo sguardo vispo e profondamente interessato ad ogni singola persona con cui entra in relazione a prescindere dal ruolo che ricopre o ancora per la sua capacità di essere sempre autorevole e al contempo alla mano”.

E per qualche detrattore in cerca di puntigli che ha ravvisato in Parolin una minore comunicatività di altri, non ci pensa invece troppo Sandonà a tesserne le doti: “Parolin è, sorprendentemente e senza alcuna contraddizione, Sua Eminenza reverendissima e, al contempo, don Piero. Personalmente, sono nato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ma ho studiato le opere dei Papi dell’ultimo secolo. Dal mio punto di vista, Parolin ha una certa somiglianza con Paolo VI: personalità miti, grande preparazione culturale, eccellente capacità diplomatica e di equilibrio, ma anche coraggio di andare, se del caso, con determinazione controcorrente. D’altra parte, devo comunque ammettere che sono stato lieto di vedere il cardinal Parolin sorridente vicino a Papa Leone: credo che Prevost abbia fatto proprio bene a volerlo lì vicino, a significare l’unità della Chiesa dimostrata da un Conclave lampo. L’immagine a conferma del fatto che Parolin continuerà, a mio modesto avviso, la sua missione di Segretario di Stato, la cui nomina la ritengo un merito rilevante del compianto Papa Francesco”.

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