Eccidio, l’80esimo commemorato in una città disinteressata allo scontro fra nostalgici


Si sono concluse lunedì sera 7 luglio con il ricordo delle istituzioni le commemorazioni (ufficiali e non) dell’Eccidio di Schio, di cui ricorreva quest’anno la cifra “tonda” degli 80 anni dalla liberazione dal nazifascismo. Una corona d’alloro è stata deposta ai piedi della lapide che, nel cortile interno della biblioteca civica in via Baratto, ricorda i nomi delle 54 vittime della strage, avvenuta per mano di un gruppo di partigiani a tre mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La corona è stata deposta dall’amministrazione comunale insieme ai rappresentanti dell’Associazione familiari e amici vittime dell’Eccidio di Schio, dall’Anpi e Avl. Una iniziativa per ribadire e rafforzare le ragioni che nel 2005 portarono alla sottoscrizione della Dichiarazione sui Valori della Concordia Civica, che costituisce un atto fondamentale nella storia cittadina ma che oggi pare più che mai in crisi. Alla deposizione è poi seguita in Duomo la messa in ricordo delle vittime dell’Eccidio.
Il patto di riconciliazione, tuttavia, mai come quest’anno è stato rimesso in discussione, in una “par condicio” che la dice lunga su come una parte degli animi (e non solo) siano rimasti ancora fermi a quel 7 luglio 1945.
Domenica mattina, in particolare, Schio è stata per qualche ora blindata durante la doppia manifestazione che prima ha portato in via Baratto circa 150 attivisti di estrema destra, poi, nella stessa via, una 60ina di militanti di estrama sinistra. Iniziative alle quali hanno partecipato pochissimi scledensi e nessuno con ruoli istituzionali (per la maggior parte si trattava di persone “da fuori”).
Chi vive a Schio è sembrato disinteressato o infastidito, dato anche che piazza Rossi, via Carducci e via Baratto erano chiuse al passaggio anche pedonale: una sessantina le forze dell’ordine schierate (fra polizia, carabinieri e polizia locale) a bloccare i varchi con un dispositivo di sicurezza che, mettendo distanza fisica e temporale alle due manifestazioni, ha consentito di evitare qualsiasi contatto fra i due gruppi.
Ad organizzare il raduno di estrema destra, la sezione vicentina di Continuità Ideale, che ha riunito presso le ex carceri aderenti e simpatizzanti di numerosi gruppi ed associazioni di estrema destra provenienti dal vicentino e non solo: i partecipanti, sorvegliati a vista dalla polizia, come ogni anno hanno commemorato le vittime dell’Eccidio anche con saluto romano e il grido, ripetuto tre volte “presente!”. In un comunicato hanno spiegato di ritenere che “sia giunto il momento che Anpi e soci cessino di strumentalizzare la nostra commemorazione per dare sfogo alla propria protervia sul tema dell’Eccidio e di farsene paravento per mascherare la reale sensibilità che nutrono a riguardo della vicenda e delle vittime”.
Mentre in via Baratto andava in scena il saluto romano, in piazza Rossi andava avanti il presidio del coordinamento antifascista scledense composto di una sessantina di partecipanti di partiti e collettivi di estrema sinistra (un mix di ex sessantottini e giovanissimi) “contro la calata dei nipotini della Repubblica Sociale Fascista, quella specie di governo dell’alta Italia, asservito alle forze di occupazione nazista dai cui orrendi crimini non presero mai le distanze, anzi da essi, dai nazisti, i nostri locali fascisti presero ad imparare metodi di tortura e di terrorismo vero e psicologico verso le popolazioni”.
Negli interventi che si sono susseguiti, sono stati duramente criticati l’europarlamentare Elena Donazzan, il consigliere comunale Alex Cioni e Anna Vescovi. “Il partigiano Teppa (uno dei responsabili dell’Eccidio, ancora vivente) ha fatto la cosa giusta”, si è sentito dire dal palco, mentre altri interventi hanno sottolineato le distanze dai tentativi di pacificazione legati al patto di concordia.
Alla fine, corteo fino al cortile dietro la biblioteca, dove è stato deposto un mazzo di fiori sotto alla lapide dedicata ai fratelli Bogotto (all’origine dell’Eccidio ci sarebbero stati proprio l’uccisione da parte dei nazifascisti di Giacomo Bogotto, il partigiano “Ala”, picchiato, torturato e sepolto dalle Brigate Nere) e la strage nazifascista di Pedescala.
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