Ipab, 10 lavoratrici sospese dopo il no al vaccino. Il sindacato: “certificati medici illegittimi”

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Dieci operatrici sociosanitarie sono state lasciate a casa con giudizio di inidoneità al lavoro all’Ipab “Sant’Antonio” di Chiampo, attraverso un certificato medico che, secondo il sindacato Cub di categoria, sarebbe ritenuto non valido dallo Spisal dell’Ulss 8 Berica. Si tratta di dipendenti di una ditta esterna di servizi in appalto ormai da un mese in attesa di risposte dopo aver esercitato il diritto – ad oggi loro garantito ma che si scontra con le esigenze di tutela e prevenzione degli ospiti opposti dal centro servizi – di non sottoporsi alla somministrazione del vaccino anticovid.

Stamattina è andata in scena una protesta proprio di fronte alla casa di riposo. Presenti all’ingresso le lavoratrici messe alla porta senza retribuzione dalla cooperativa, ai primi di marzo, dopo aver rivendicato il proprio diritto alla scelta terapeutica sulla (non) adesione alla campagna di vaccinazione  contro la diffusione del contagio di Covid-19. A prenderne le difese nell’occasione è Maria Teresa Turetta, segretario provinciale del Cub di Vicenza. “Abbiamo subito dato mandato per il recupero dello stipendio – dice ai microfoni – e per riammettere subito sul posto di lavoro queste figure di supporto alla sanità”.

A contrapporsi sono le questioni di principio sul tema dei vaccini, ma all’atto pratico al centro della contesa che si è sviluppata con toni aspri è il ricorso a un certificato medico che decreta la non idoneità provvisoria alle mansioni di assistenza per le oss “ribelli”, almeno rispetto ai colleghi che si sono sottoposti alle prime inoculazioni in Veneto. Oltre all’Ipab Sant’Antonio, dito puntato anche contro la società di servizi affidataria – la “Cooperativa In Cammino-Blu Consorzio con sede a Bologna – che “a seguito di tale certificazione, senza battere ciglio, le ha tutte sospese dal servizio senza retribuzione – come spiega Turetta del Cub -. Secondo lo Spisal la documentazione medica non è conforme alle prescrizioni di legge, questo significa in parole povere che quanto prodotto non proviene da un medico aziendale in quanto carente nella forma e nei contenuti che devono essere presenti in un certificato sulla sorveglianza sanitaria ai sensi dell’art 41 del Dlgs 81/08″.

A margine della manifestazione simbolica in corso in queste ore di mercoledì, in assenza di novità e di garanzie di ricollocamento appare inevitabile la migrazione della spinosa vicenda nella aule di giustizia. “Ora la questione passa in sede legale perchè le 10 lavoratrici sono state sospese dal servizio senza stipendio in modo ingiustificato e illegittimo. Denunciamo inoltre che alcune di queste lavoratrici dalla loro assunzione non sono mai state sottoposte ad una visita dal medico aziendale, neanche durante la pandemia della primavera scorsa, quando ad aprile siamo intervenuti per denunciare che il personale non era ancora stato sottoposto a tampone. Per questo oggi protestiamo davanti ai cancelli di questa casa di riposo: gli appalti dei servizi pubblici affidati al massimo ribasso hanno come logica conseguenza poche tutele per la salute dei lavoratori, contratti da fame, poca formazione e non rispetto della legge sulla sicurezza nei posti di lavoro”.