Mario Vielmo dopo la conquista del Nanga Parbat: “Sono stanchissimo, è stata durissima”

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Due foto della spedizione sul Nanga Parbat dello scorso anno

“Amore è stata durissima anche perché tempestava, ma finalmente io e Nicola siamo arrivati al campo base alle tre di notte, salvi. Sono stanchissimo” scrive alla compagna, Francesca Bonan, l’alpinista di Lonigo Mario Vielmo, che lunedì 3 luglio ha conquistato la vetta del Nanga Parbat, la montagna pakistana alta 8126 metri. E’ considerata la seconda vetta più difficile sopra gli 8000 metri dopo il K2, la seconda vetta più alta del mondo, nonché una delle più pericolose.

Dopo una lunghissima notte di fortissimo vento, trascorsa assieme agli altri quattro alpinisti in una tenda da tre, il mattino del 3 luglio Vielmo si è incamminato verso la vetta e intorno alle ore 16 ha raggiunto la cima: così l’alpinista vicentino ha ottenuto il suo 13mo Ottomila. Uno dei più difficili: un’impresa storica, realizzata senza l’aiuto delle bombole di ossigeno supplementari e che lo colloca fra mi migliori scalatori al mondo.

Nel pomeriggio erano poi saliti in vetta anche il padovano Nicola Bonaiti, l’argentino Juan Pablo Toro e l’ecuadoriano Santiago Quintero, Valerio Annovazzi e il pakistano Muhammed Hussein, tutti senza uso di ossigeno supplementare. L’altro alpinista vicentino coinvolto nell’impresa, Tarcisio Bellò, si è dovuto invece fermare a Campo 4 a circa 7200 metri, a causa delle sue condizioni fisiche non esattamente perfette. Ciononostante il suo contributo durante la scalata è stato fondamentale.
“Dopo un po’ di riposo li aspetta ancora una lunga discesa, che gli auguriamo di fare tutta in sicurezza” scrive la compagna sui social.

Ascolta “Cos’è la montagna per Mario Vielmo e Tarcisio Bellò?” su Spreaker.

La scalata
Vielmo, Bellò e Bonaiti, insieme ad Alberto Oro (di supporto) erano partiti per il Pakistan lo scorso 24 maggio, con la speranza di raggiungere quell’obiettivo mancato lo scorso anno a causa delle condizioni meteo proibitive, con un caldo in quota che aveva reso troppo rischiosa la salita. Raggiunto il campo base il 29 maggio, hanno iniziato il periodo di acclimatazione. Nei primi giorni di giugno erano saliti fino al Campo 1. “Dopo le intense nevicate, sprofondando fino alle ginocchia, e, in un secondo giro, a passare lì la notte, Tarcisio, Nicola ed io. Ora siamo a campo base, cercando di organizzare la salita a c2 lungo la via Kinshofer, con attenzione allo stato di assestamento della neve”, ha raccontato sui social lo stesso Vielmo. Il 10 giugno il gruppo aveva passato la prima notte al Campo 1 (4.905 metri) per poter affrontare il giorno dopo la salita a Campo 2 a 6.081, da cui erano scesi il 13. La mancanza di un porter d’alta quota (quello che c’era ha dovuto abbandonare la spedizione per una sciatica) che potesse portare tende e attrezzatura lungo la via Kinshofer sarebbe stato di grande aiuto, ma gli alpinisti veneti non si sono scoraggiati.

“A parole sue – aveva spiegato Francesca Bonan – è stata una gran faticaccia, scalare il canale e il muro è stato molto impegnativo con tutto quel carico”. Il 12 Vielmo è preoccupato: dopo una fase di bel tempo, iniziano rovesci di neve pallottolare, segnale di temporali: ben 20 centimetri, rispetto ai 2-3 previsti. “Sentiamo valanghe scendere, dobbiamo tornare al campo base, ma temo scariche lungo il canale con tutta quella neve” confida l’alpinista di Lonigo alla compagna. Vielmo e gli amici di impresa il 18 giugno raccontano che sopra Campo 3 (6.850 metri), che verrà attrezzato in quei giorni, c’è un grosso carico di neve, “perciò la testa risulta sempre più importante della forma del corpo in questi casi”. Il 24 giugno il gruppo monta la tenda a Campo 3, e passa lì sia la notte che la giornata successiva,  per recuperare energie. Scalano tutti senza ossigeno. Da Campo 3 la via verso la vetta del Nanga Parbat, come si vede dalla foto con la traccia della salita, è molto lunga. Il 26 i tre vorrebbero salire fino a Campo 4, per spezzare la lunga via fino alla cima, trattandosi di 1300 metri di dislivello ad alta quota e non usando ossigeno supplementare. Durante la notte, però, c’è un vento molto forte con neve e le previsioni per la salita alla cima il 27 sono altrettanto incerte. Si decide quindi tornare al campo base, sperando in una nuova finestra di bel tempo per un nuovo tentativo.

“Siamo in sacco a pelo – racconta l’alpinista leoniceno il 1° luglio nuovamente da Campo 3, dove è arrivato in giornata -, giornata faticosa. Ora riposiamo, domattina andiamo a Campo 4, partiremo per la cima verso 10 di sera, ci serve tempo decente fino al pomeriggio del 3”.
Il tempo non è dei migliori con nevicate, ma il 2 e il 3 luglio sono previste due buone giornate. E il 3 luglio, alle 16, la conquista della vetta. Tarcisio Bellò è però costretto da un’infezione intestinale a fermarsi a Campo 3.
Il dramma
Il giorno successivo alla conquista della vetta, sul Nanga Parbat (soprannominata “killer mountain”) si è consumata la morte dell’alpinista polacco Pawel Kopec, deceduto durante la discesa dal vertice. Anche i polacchi Piotr Krzyzowski, Pawel Kopec e Waldemar Kowalewski il 3 luglio avevano infatti scalato con successo la vetta in momenti diversi, senza l’ausilio dell’ossigeno supplementare: esattamente come Vielmo e Bonaiti. Rientrando, a 7.300 metri, il dramma: la stampa polacca racconta che il tempo è peggiorato e Kopec, esausto e disidratato, è morto nei pressi di Campo 4, per mal di montagna acuto.
Sul Nanga Parbat c’è anche un’altro gruppo di italiani, con Marco Confortola. Sempre il 4 luglio sono scattati i soccorsi per l’alpinista pakistano Asif Bhatti, bloccato a Campo 4 e che accusa cecità da neve: in suo aiuto sono accorsi anche alcuni scalatori italiani. Gli elicotteri sono stati costretti a rimanere a terra a causa del maltempo e Bhatti ha dovuto fare affidamento sulle proprie forze e su un gruppo di alpinisti saliti da Campo 3 per aiutarlo. Oggi, secondo quanto riportano i media internazionali, è arrivato sano e salvo al campo base.
Una foto notturna del Campo Base sul Nanga Parbat (Pakistan) fatta in questi giorni dall’alpinista lombardo Marco Confortola (foto Facebook)
La faticosa discesa di Vielmo e Bonaiti
Anche Mario Vielmo e Nicola Bonaiti hanno raggiunto nella notte fra martedì 4 e mercoledì 5 luglio il campo base, nonostante l’enorme stanchezza e le condizioni non favorevoli. La sera del 4, alle 18 italiane Silvia Confortola comunica alla compagna di Vielmo che sulla montagna si vedono due luci scendere: un ragazzo dello staff del campo base è convinto siano quelle di Mario e Nicola. Alle 22 (ora italiana) la loro traccia, con batteria in scaricamento, è ferma a 4400 metri, a soli 200 metri da campo base. Alle 00:43 (3.43 pakistane) Vielmo racconta la durissima discesa alla compagna: “Sono stanchissimo. Amore è stata durissima anche perché tempestava. Sulla Kinshofer c’erano tutte le corde ghiacciate, bisognava disarrampicare al buio. Sono super disidratato. Non ho mangiato nulla per tre giorni,  i sali mi facevano vomitare. Tarcisio è al C2 e Valerio e Juan volevano riposare al C3, scendono tutti domani”.
Dopo lo scoglio di questa montagna difficile, allo scalatore di Lonigo non resta ora che raggiungere, in una futura spedizione, l’ultimo Ottomila che gli manca, il Shisha Pangma, il monte più basso fra le cime sopra gli ottomila metri: poi sarà nella storia come l’ottavo italiano e 40esimo al mondo ad aver raggiunto tutte e 14 gli Ottomila del Pianeta