Lettera alla redazione: “C’è chi ancora nega la violenza di genere, da uomo ho avuto vergogna”

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Tra le tante considerazioni che abbiamo letto e soprattutto ricevuto sul caso di Giulia Cecchettin, ci ha colpito la lettera di questo ragazzo. Un giovane uomo nauseato dalla banalizzazione dell’ennesimo omicidio di una donna vittima di un amore tossico. Ne abbiamo sentite tante: da chi ha accusato la stampa di un eccessivo clamore mediatico su questa vicenda, al complottismo di chi invece ha sostenuto che certi casi di omicidio sarebbero passati sotto traccia in quanto si sarebbe voluto sorvolare sul fatto che la mano criminale era quella di uno straniero.

Mistificazioni che tralasciano una verità molto più semplice: Giulia e Filippo hanno rappresentato la più classica storia dei fidanzatini di paese, quelli della porta accanto. Quelli che mentre stendi o panni o tagli la siepe, ti passano davanti casa mano nella mano. Un trauma quindi, scoprire da genitori ancor prima che giornalisti, che un fatto tanto grave possa avere il nome di un ragazzo appunto qualunque ed il volto sorridente di una bambina che hai visto diventare donna. Nessuna dietrologia, ma solo una grande presa di coscienza collettiva: certo un’ondata emozionale forte. Per dire basta. Non una di più. Chiunque essa sia e chiunque sia il suo assassino.
La redazione

Riceviamo e pubblichiamo
Cara Direttrice,
non più tardi dello scorso martedì mi trovavo in un noto bar del paese dove abito, un comune dell’Alto Vicentino. Era verso fine mattina.

Sul tavolo di fianco al mio un capannello di signori, tutti tra i sessanta e i settanta, stavano discutendo ad alta veloce sull’omicidio di Giulia Cecchettin. Io, onestamente, dopo qualche secondo avevo deciso di ignorarli, ed anzi, di mordermi la lingua. Questi signori infatti avevano attaccato una becera litania con considerazioni tipo “questo caso è ‘na farsa. Nient’altro che un pretesto che i politici stanno accampando per mascherare la loro incompetenza. Una situazione che si è creata e che viene cavalcata solo per distogliere l’attenzione degli italiani dai reali problemi della nazione” e via discorrendo.

In sostanza questi filosofi da bar di paese stavano sminuendo e banalizzando la morte di Giulia, come lo stavano facendo per tutte le altre donne vittime di femminicidio. Sostenevano convintamente che non c’è un problema di violenza di genere e che tutto si riduce ad un maldestro tentativo del governo di raccattare voti. In pratica, il più qualunquista dei discorsi.

Storie sentite già mille volte, che purtroppo ho imparato implicitamente ad accettare e assecondare per non mettermi ogni volta a discutere con questi scienziati onniscienti, sicuri delle loro affermazioni.

Ad un certo punto però succede una cosa inaspettata: una signora sulla cinquantina, a sua volta seduta in un tavolo vicino, entra a gamba tesa nella loro discussione e li ammutolisce istantaneamente: “Ma che cosa state mai dicendo? – li apostrofa – ma come potete negare un’evidenza tanto grande come quella della violenza di genere? Come potete ragionare in questa maniera, voi che sicuramente siete padri, mariti, nonni”?

Gli pseudo-scienziati a quel punto sono rimasti ammutoliti, eccetto uno che ha avuto l’ardire di ribattere che “Eh signora, fortuna che in questo paese c’è ancora libertà di opinione”. La più classica delle frasi fatte quando non si ha più idea di cosa dire.

Avrei voluto abbracciare quella signora, che ha avuto il coraggio di fare quel che io – ma che son sicuro molti altri – non ho avuto lo stomaco per fare: zittire chi sminuisce e banalizza questa problematica.

In quel momento ho pensato che quanto appena successo sia parte dell’eredità che Giulia Cecchettin con la sua vita ci ha lasciato: lei e la sua famiglia ci stanno insegnando che l’indifferenza non può essere giustificata. Tutti siamo coinvolti nel processo di equalizzazione della nostra società, anche decostruendo le chiacchiere al bar, che spesso purtroppo sono il polso di quello che una società pensa.

Quella signora mi ha dato una lezione, e l’ha data anche e soprattutto a quei quattro signorotti – di cui alcuni fra l’altro anche in vista in paese – tanto che ho sentito il bisogno di diffonderla. E’ stata una perla di civiltà che sento tutti debbano poter leggerle e raccontare.

Per Giulia e per tutte le altre che son state messe a tacere per sempre, ma che dobbiamo far parlare con la nostra voce.

Un ragazzo di paese