Liceo Brocchi, l’ultima maturità del preside Giovanni Zen. Poi andrà in pensione

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La “notte dopo degli esami”. Quella precedente, invece, per i maturandi, è diventata un must da ricordare e insieme uno spartiacque della beata gioventù. Da libri, film, canzoni e per geoattualizzare il tema per le serate portafortuna a Monte Berico come da mode più recenti tra i vicentini. Quella successiva, invece, ha visto probabilmente un dirigente affermato e radicato nel territorio bassanese, il prof. Giovanni Zen, ripensare a volti e storia dei “suoi” di studenti, dopo l’ultimo giorno di scuola. Prima delle ferie e, poi, della pensione. Ha saluto così il Liceo Brocchi, il suo lavoro di dirigente scolastico e soprattutto di punto di riferimento per i giovani, dopo aver indiscutibilmente lasciato il segno.

Dopo l’annuncio del pensionamento a fine anno scolastico, dato al corpo docente e ai suoi collaboratori, Zen ha proseguito la sua attività nella stagione più difficile probabilmente per la scuola italiana ed europea. La corsa alo smartworking, alle lezioni in videoconferenza e, infine, al tanto temuto e insieme celebrato esame di maturità in versione short, con un solo e unico colloquio di un’ora che i 19enni o giù di lì stanno sostenendo in questi giorni.

“Ma un’ora che sintetizza – scriveva il direttore lo scorso 17 giugno in una lettera ai suoi ragazzi prima di riaprire le porte delle sedi del Liceo – , in poche battute, il compimento ma anche la fine di un percorso, di una storia, di una esperienza di vita. Pochi minuti che dicono la fine della adolescenza, per strade tutte nuove, ognuno per conto proprio. Chi verso uno dei tanti percorsi universitari, chi verso uno dei tantissimi sbocchi lavorativi.
Giusto augurare tutto il bene possibile a questi ragazzi. Perché devono sentire che noi ci siamo, che li stiamo accompagnando verso il regno della responsabilità personale e sociale, cioè l’età adulta. Cioè la “maturità”, come si diceva un tempo. Ognuno, per quel che riesce, artefice del proprio e nostro destino. Non dimentichiamo mai che i nostri ragazzi sono migliori di come di solito vengono dipinti. Solo che sentono fortissima l’esigenza di avere persone autorevoli con cui confrontarsi, dialogare, anche dissentire. Ma persone autorevoli.
Perché il problema primo dei nostri giovani sono gli adulti, siamo noi. Buona avventura, ragazzi”.

Sull’esperienza appena lasciata alla spalle del periodo di lockdown, così si era espresso una decina di giorni prima, in una lettera indirizzata a famiglie e studenti. “Un anno complicato, difficile, anche doloroso, per le notizie che giungevano. Una parte d’anno scolastico nella quale abbiamo dovuto tutti rivedere, ripensare, riprogrammare, reinventarci un modo di fare scuola che mai avevamo sperimentato. Una esperienza di vita, prima che scolastica, che ci ha fatto riflettere su tanti aspetti delle nostre abitudini, priorità, convinzioni.
Abbiamo imparato, provo a sintetizzare, a fare scuola in modo diverso, ma abbiamo anche compreso che la vita di classe resta insostituibile”.

“Un po’ di amarezza, mista a nostalgia, non la posso nascondere”. Il riferimento è al ritorno a scuola con di fronte le aule vuote e all’orizzonte quel “me ne vado in pensione” noto a tutti. Di giovedì, l’altro ieri, l’ultimo colloquio d’esame e la chiusura dei registri scolastici, e poco importa se oggi a chiudersi è una finestra su un monitor anzichè un ben più amarcord fascicolo cartaceo.

Poi un nuovo saluto, stavolta affidato ai social: “Oggi ultimo giorno di esami. E ultimo giorno ufficiale di lavoro. Poi da venerdì ferie fine a fine agosto, quindi in pensione. Ufficialmente in ferie, in realtà, assieme ai collaboratori, impegnati con atti e decisioni a preparare il davvero complicato nuovo anno scolastico. Non posso, in questi momenti, non pensare a tutte le persone care che ho incontrato, che mi sono state e mi sono compagne di vita. Anzitutto la mia famiglia. Poi tutte le persone con le quali ho passato giorni e anni nei vari contesti, non solo di lavoro. Tante e tante, piene di bontà.Una profonda gratitudine, in me. Simpliciter. E l’ispirazione di fondo? È quella che Platone ha chiamato “mito della caverna” illuminata, questa caverna, che è la metafora della vita, da un comandamento sempre rivoluzionario, “segno di contraddizione” rispetto agli “idòla”, cioè ai tanti pregiudizi e precomprensioni che affaticano tutti i nostri sentieri di vita.
In fondo in fondo, che cosa noi cerchiamo lungo questi sentieri, che dia senso e gusto alle nostre giornate, alle gioie come alle sofferenze, se non quel “simplicissimum”, cioè l’essenziale? Questa ricerca dell’essenziale passa attraverso tutte le nostre stagioni, senza identificarsi mai con le nostre pretese conquiste, convinzioni, conoscenze.
È il bello della vita”.