CineMachine | Ai confini della realtà

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REGIA: John Landis, Steven Spielberg, George Miller, Joe Dante ● CAST: Dan Aykroyd, Albert Brooks, Vic Morrow, John Lithgow, Kathleen Quinlan, Bill Quinn, Scatman Crothers, Jeremy Licht, Donna Dixon, Bill Mumy, Dick Miller, Kevin McCarthy, Priscilla Pointer, Peter Brocco, Selma Diamond, Helen Shaw, Charles Hallahan, Doug McGrath, Cherie Currie, Nancy Cartwright, Kai Wulff, Larry Cedar, Patricia Barry, William Schallert, John Dennis Johnston, Evan Richards, Lana Schwab, Christina Nigra, Al Leong, Eduard Franz, John Larroquette, Elsa Raven, Norbert Weisser, Steven Williams, Burgess Meredith, Rod Serling ● GENERE: fantastico, drammatico, horror, thriller ● DURATA: 101 minuti ● DATA DI USCITA: 27 Gennaio 1984 (Italia)

Ai confini della realtà del 1984 per la regia di John Landis, Steven Spielberg, George Miller, Joe Dante.

Recensione un po’ diversa e da paura, per un film che ha voluto elogiare la famosissima serie televisiva fantastica, iniziata nel 1959 da Rod Serling e terminata, purtroppo, nel 2003, intitolata Twilight Zone (in italiano tradotto con Ai confini della realtà).

Questa serie, iniziata per l’appunto negli anni ’50, contribuì efficacemente a diffondere il genere fantastico nell’immaginario comune, con le sue trame elaborate e molto fantasiose che portavano, spesso e volentieri una morale, talvolta un giudizio sulle situazioni vissute dal personaggio, che sono anche quelle che ci troviamo ad affrontare nella nostra vita di tutti i giorni.

Tipicamente i personaggi volevano essere la rappresentazione della società, dell’individuo, e sarà proprio a questi personaggi che accadranno le cose più straordinarie che li porteranno a comprendere se stessi e il mondo che li circonda, attraverso l’introspezione e l’analisi dei fenomeni che si materializzavano di fronte ai loro occhi.

Il film uscito nel 1983 per la regia di ben quattro leggende del cinema: John Landis, Steven Spielberg, Joe Dante e George Miller, nutrendosi di alcune puntate della serie, arricchendole con effetti speciali elaborati e fantastici. Difatti la serie aveva creato terreno fertile per i registi che hanno lavorato alla pellicola e non suona affatto strano che essi abbiano pensato di rendere omaggio alla famosa Twilight Zone, la culla della fantascienza.

I quattro registi si sono occupati rispettivamente di una parte della pellicola. Invero il film si divide in ben quattro storie, più una scena iniziale che funge da prologo e che verrà ripresa magistralmente nella scena finale.

Prologo

Nella scena di apertura, sulle note di The Midnight Special dei Creedence Clearwater Revival, troviamo due uomini in una macchina che canticchiano la canzone, mentre viaggiano su una strada deserta. Quando la musica si blocca, per colpa di un malfunzionamento del mangiacassette, i due cercano di passare il tempo giocando a “indovinare le sigle della TV”, tra le quali emerge anche quella di Ai confini della realtà. I due protagonisti si divertono a menzionare le loro puntate preferite ed a ricordare i momenti di spavento che la serie gli aveva regalato. Dopo questa reminiscenza della serie, il passeggero (Dan Aykroyd) chiede al conducente (Albert Brooks) se vuole vedere qualcosa di veramente spaventoso, ma per vederlo sarà costretto ad accostare l’auto. L’uomo si accorgerà troppo tardi di chi ha realmente a fianco.

Primo Episodio: Time Out

La prima storia scritta e diretta da John Landis racconta di un uomo irascibile, logorato dall’invidia e dall’insuccesso, di nome Bill Connor (Vic Morrow) che si incontra al bar con dei suoi amici ed è lì che le sue antipatie per ebrei, neri e asiatici esplodono in un turpiloquio di accuse razziste e antisemite. Gli amici cercano di frenarlo, ma con scarso successo. Nel locale molti rimangono turbati dai discorsi dell’uomo, soprattutto un uomo di colore che prega al signore di smettere di esprimere le sue idee ad alta voce. Preso dalla frustrazione e dalla rabbia, l’uomo si alza ed esce dal bar, ma sarà proprio lì fuori che gli capiterà qualcosa di straordinario che gli farà rimangiare ogni sua accusa ed insulto.

Questa prima parte del film è totalmente originale, scritta di pura fantasia da Landis, più vicina a quello che si definirebbe un thriller in chiave fantascientifica che un vero e proprio horror. Un “episodio”, se così lo possiamo definire, che riflette sui pregiudizi razziali ed etnici che molti possono avere nei confronti dei propri colleghi di lavoro o, più in generale, della aggregata massa sociale, in cui ci deve essere chi è migliore, secondo il pensiero del nostro protagonista, cioè l’americano modello che ha servito in Vietnam e che lavora sodo, e quelli “inferiori” a cui va sempre più bene. Un’ingiustizia che vuole le proprie ragioni, scaricando la colpa su qualcuno, pur di non prendersi le proprie responsabilità: più facile accusare qualcuno che non cercare in noi stessi la colpa dei nostri insuccessi.

La scena è ricca di salienti salti temporali in cui il nostro protagonista avrà il suo bel da fare per non essere ucciso. La scena venne ricordata, inoltre, per il susseguirsi di svariate azioni legali ai danni dello stesso regista, dopo l’incidente aereo che portò alla morte l’attore Vic Morrow e due comparse sul set.

Secondo Episodio: Calcio al Barattolo

La seconda storia è stata diretta da Steven Spielberg ed è essenzialmente un remake di un episodio della serie diretto da Lamont Johnson e scritto da George Clayton Johnson.

La storia è ambientata in una casa di riposo, dove una compagnia di vecchietti cerca di passare, in qualche modo, gli ultimi momenti che gli rimangono da vivere. L’atmosfera è di una tranquillità mortale. Gli anziani si sentono scoraggiati e afflitti dalle loro rispettive condizioni e occupano il loro tempo a ricordare quando erano giovani. Uno di loro, invece, il signor Leo Conroy (Bill Quinn),  si è totalmente sottomesso alla vecchiaia e, non riuscendo a vedere né un futuro né un passato, abbandonato dai suoi cari, è divenuto molto scorbutico e malinconico. Alla casa di riposo giunge un nuovo ospite che si fa chiamare Mr. Bloom (Scatman Crothers). Sarà proprio questo personaggio a riportare un po’ di felicità e giovialità all’interno della casa di riposo in un modo del tutto particolare e straordinario. Certamente, non un horror, ma un dramma a lieto fine che mi permetterei di commentare, alzando un po’ il tono con cui scrivo. Vorrei citare un pezzo di una lettera che Seneca scrisse a Meneceo:

“Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.”

Terzo Episodio: Prigionieri di Anthony

La terza storia è stata diretta da Joe Dante ed anche questa è un remake di in episodio della serie diretto da James Sheldon e basato su una breve storia di Jerome Bixby.

Questo episodio racconta di Helen Foley (Kathleen Quinlan), un’insegnante che sta viaggiano per raggiungere Willoughby (cittadina immaginaria nominata nella serie televisiva). Fermatasi per una breve sosta in un piccolo ristorante sulla strada, fa la conoscenza con un bambino di nome Anthony (Jeremy Licht), con il quale avrà un piccolo incidente non appena uscita dal locale. La signora per scusarsi, chiede di accompagnarlo a casa e il bambino accetta la proposta della gentile signora. Quando arriverà a casa, la maestra noterà un comportamento molto strano nei familiari di Anthony, quasi divinatorio nei confronti del bambino.

Quello che vedrà sarà orribile e incredibile allo stesso tempo. Anthony nasconde dentro di sé un potere immenso, ma che sfocia in ripicche e desideri infantili, soprattutto influenzati dai cartoni animati, i quali vengono denudati dalla giocosità e dalla burla che li caratterizza per mostrarne la violenza insensata che traspare, diversa dai film action. Inoltre si noti il ruolo che la famiglia di Anthony, ha in tutto questo, lasciando al bambino piena libertà di decidere e di fare ciò che vuole, senza alcun rimprovero e senza esprimere alcuna autorità o guida per il piccolo Anthony.

Quarto Episodio: Terrore ad Alta Quota

Ultimo episodio, diretto da George Miller, è la storia di un commesso viaggiatore di nome John Valentine (John Lithgow), che sta viaggiando su un aeroplano, mentre fuori incalza una terribile tempesta. Ma questa non sarà alquanto orribile, come la creatura che John vedrà fuori dal finestrino, intenta a divorare parti del primo motore dell’aereo. La faccenda si fa molto serie e molti notano l’uomo isterico che cerca di spiegare e di spiegarsi ciò che ha appena visto.

Anche questa storia è il remake di un episodio della serie diretto da Richard Donner e scritto da Richard Matheson. La scena finale ve la lascio tutta scoprire. In particolare, la mia parte preferita del film che fa vedere come solo un uomo basti per cambiare le sorti dei passeggeri di un intero aeroplano. Un uomo ritenuto pazzo, rapito da allucinazioni, che alla fine riesce a trovare il coraggio per compiere ciò che deve essere fatto, rischiando la sua stessa vita. Sarebbe bello se ogni giorno, seppur presi per pazzi, riuscissimo a far ciò che riteniamo giusto per noi e per chi ci sta attorno.

Tirando le somme, il film in sé è fluido nel suo mescolare varie storie e anche diversi caratteri registici. È un film simpatico da vedere, che non può essere prettamente definito un horror, perché, come abbiamo visto, esso mescola molti generi, passando dal drammatico al fantascientifico e si sofferma soprattutto, nei diversi episodi, nell’imprigionamento dei personaggi, anche se le sceneggiature sono un ricalco arricchito ed esteso di vecchi episodi, eccezione fatta per quella di Landis.

Un film che si diversifica, eterogeneo con carattere e grinta che vuole rendere ciò che una serie era, un film di successo con attori e registi di prima categoria. L’esperimento in sé è riuscito, con le sue riserve, essendo, per l’appunto, un “nuovo già visto” in qualche modo, ma che spazia e cerca di ritrovare la fantascienza in un modo personale a livello di registico, con caratteri tipici che nella pellicola si respirano apertamente e che ci riescono a portare in un altra dimensione. Non per altro siamo ai confini della realtà.