Operazione diabolica: il rifiuto del reale in una storia irreale 

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Quanto ci stanca la nostra vita? Quanta monotonia e cattivo umore si può accumulare in una giornata? Abbiamo mai pensato di cambiare? Cambiare le nostre abitudini, il nostro modo di pensare o di vivere? Abbiamo mai pensato di cambiare o meglio di scambiare la nostra vita? Scambiarla con una vita diversa, con meno responsabilità e con più libertà? 

Sono queste le domande che vengono alla mente guardando “Operazione diabolica”, un film del 1966 diretto dal regista statunitense John Frankenheimer, basato sull’omonimo romanzo di David Ely. 

La storia racconta di un impiegato di banca che un giorno, stanco della propria vita, formata per lo più da un lavoro insoddisfacente e da una relazione coniugale logorante, decide di rivolgersi ad un’agenzia segreta che dona ai suoi clienti una nuova identità, permettendogli così di ricominciare da capo. L’uomo in un primo momento non si convince di questa scelta, spaventato dalla radicalità di questo cambiamento. Ma giunto all’agenzia però qualcuno lo convince e l’uomo firma il contratto e procede al cambiamento. Attraverso una delicata operazione chirurgica, al protagonista viene cambiata la fisionomia del volto e addirittura la voce, rendendolo irriconoscibile. Dopo aver pubblicato la notizia della morte del vecchio impiegato e ricevuto i documenti che attestano la sua nuova identità, il nostro protagonista comincerà la sua nuova vita come prestigioso pittore in una lussuosa villa affacciata al mare. Tutto andrà bene, ma fino ad un certo punto, ovvero quando anche la nuova vita comincerà a risultare ridicola e fin troppo farsesca. 

Un’opera tanto significativa quanto dimenticata, “Operazione diabolica” è il resoconto di una continua ricerca che siamo tutti portati a fare. La costante ricerca della novità, della freschezza, in una vita che non ci vive come vorremmo.  

È ciò che i romanticisti chiamerebbero “Sehnsucht”, ovvero lo “struggimento”, la malattia del doloroso bramare. Siamo talmente portati a desiderare che perdiamo di vista l’oggetto del nostro desiderio, tanto che una volta raggiunto ci sfugge di mano o ne perdiamo il controllo e torniamo per questo nuovamente a desiderare. Un desiderio che ci sovrasta, che ci governa, che ci rende schiavi di ogni nostro impulso istintivo o emotivo. 

Pensiamo illusoriamente di muoverci verso qualcosa di migliore, qualcosa di desiderabile, ma in realtà non stiamo facendo altro che mancare alle responsabilità che abbiamo verso noi stessi e verso la nostra esistenza, guardando alla via più breve, alla via più facile, per ottenere ciò che vogliamo. 

Questo è ciò che “Operazione diabolica” riesce ancora oggi ad esprimere in modo chiaro e perentorio a quasi sessant’anni di distanza.