Incontri ‒ Le badanti polacche a Thiene: chiacchiere fra cibo e pregiudizi da superare

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Un amico mi invita per una serata in compagnia e mi dice «non chiedermi nulla, è una sorpresa». Appuntamento nel parcheggio della stazione dei treni di Thiene. Poche centinaia di metri e citofoniamo.

«Sì?»
«Ciao, sono Gabriele»
«Ciao! Salite, secondo piano».

Confesso che una volta entrati il primo pensiero è «dove cavolo mi hai portato?» e per qualche secondo sono investito dalle sonore risate delle persone, circa una decina. Ci accolgono con grande curiosità e iniziano a offrirci subito bicchieri di birra e cibo. Dopo pochi minuti, con un sorriso sarcastico, Gabriele mi spiega che la badante di suo padre, Dorota, polacca di Lublino, lo aveva invitato a una festa e non se la sentiva di andarci da solo. Perciò, a mia insaputa, mi ritrovo circondato da un gruppo di donne polacche.
Dorota ha circa una quarantina di anni, due figlie adolescenti rimaste in Polonia con i nonni e mi spiega che sto mangiando un cebularz, una focaccia tipica della sua città di origine farcita con cipolla e semi di papavero. Buonissimo.

«Da quanto sei qui in Italia?»
«Sei mesi…»
«Ti piace vivere qui?»
«Non lo so, sono qui per lavoro, farmi questa domanda fra altri sei mesi!», e sorride.

Si esprime in un italiano comprensibile e ci chiede se le frasi che dice sono corrette o meno, ci divertiamo a fare i maestrini improvvisati Gabriele e io. Quando parla delle figlie, noto che quasi si commuove.

«Perché hai deciso di venire a lavorare proprio in Italia?», provando a cambiare argomento.
«Olga» indicandola con il dito «mia vecchia amica e mi ha parlato di papà di Gabriele che cercava persona».
Nel frattempo Olga si avvicina a noi, anche lei una badante, e io mangio un altro cebularz. Ci parlano del castello di Lublino e del parco Ogród Saski. Ci raccontano alcune loro preoccupazioni e a un certo punto Dorota menziona il fatto che non pochi italiani hanno un pregiudizio poco elegante verso le donne badanti polacche. Gabriele e io tentiamo di essere neutri, dicendo che se è vero che qualcuno ha questi pensieri, di sicuro ci sono persone senza alcun preconcetto. Olga mi offre un piatto di pieroghi (simili ai ravioli), ripieni di patate e formaggio, che mangio con piacere, ma io sono ancora legato al primo amore e cerco un altro cebularz.

Durante la serata parliamo anche con altre donne e diverse volte si cita il pregiudizio che sembrerebbe non così raro in Italia. Sento, se così posso dire, un disagio che vivono quotidianamente, come se dovessero tenere sempre presente le conseguenze di qualsiasi eventuale errore. La comunicazione è oramai senza filtri, citiamo qualche tipico stereotipo a proposito degli albanesi, dei marocchini, degli islamici, dei rumeni, eccetera. Loro fanno lo stesso parlando degli italiani, dei tedeschi, dei russi. Non mancano le risate, eppure il retrogusto di disagio rimane, ci dicono che non è facile lavorare con onestà presso le famiglie italiane sentendo di frequente l’odore di frasi tipo «stai attenta, tanto lo so che prima o poi ruberai qualcosa» oppure «sei una poco di buono, come tutte le donne dell’Est Europa».

La serata a sorpresa si rivela un’occasione di reciproca conoscenza culturale e sull’uscio Dorota ci abbraccia prima di salutarci.

«Tu non dare bacio a donne dopo!» mi dice seria in viso ma con gli occhi sorridenti.
Io, convinto di non avere capito, replico: «Perché?»
«Cebularz buono per chi mangia, non per chi vicino!»
Ridiamo tutti.

Gabriele e Dorota sono oggi felicemente sposati e vivono in Polonia, ma questa è un’altra storia. Se qualche polacco avesse letto l’articolo, mi scuso per la pronuncia delle parole.