Into the wild – Silje, quando un boato spezza il sogno

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Le isole Lofoten stanno poco sopra il Circolo Polare Artico, godono di un clima sufficientemente mite, ultimo luogo a nord che beneficia della Corrente atlantica del Golfo. Isole norvegesi zeppe di scogliere e pareti profonde, fiordi e rive che sono patria dei pescatori di merluzzo. Da alcuni anni ci organizzano una cento miglia, il Lofoten Ultra Trail, corsa che percorre i sentieri di tutte le isole dell’arcipelago collegate l’un l’altra da una efficiente rete stradale. Panorami mozzafiato che a fine maggio quest’anno in pochi tra i concorrenti si sono gustati, presi e coinvolti com’erano tra le precipitazioni e il maltempo. Solo in tredici hanno concluso la gara, con partecipanti da trenta diversi paesi. Un americano ha vinto tra gli uomini, una norvegese è arrivata prima tra le donne. Veniva da Tromso, Silje Fismen, oncologa, tre anni meno di me, la vincitrice della durissima Lofoten Ultra Trail, settemila metri di dislivello. Perché se vinci una gara di oltre trentadue ore dove arrivano in tredici in pieno Circolo Polare Artico non sei uno qualsiasi, sai il fatto tuo, conosci cosa vuol dire muoversi in mezzo alle intemperie, magari parti con la tosse eppure attraversi l’acqua corrente, il fango, superi la notte bianca col sole e affronti ogni cosa che ti possa succedere.

Queste cose me le leggo perché da qualche anno coltivo il mio pazzo sogno di andare, un po’ di corsa un po’ a piedi, da casa a Capo Nord via San Pietroburgo. Cinquemilacinquecento chilometri che oramai comincio a conoscere nel dettaglio, cinque mesi di strada che se la fortuna mi aiuterà, prima o poi riuscirò a percorrere. In Norvegia ci arriverei dalla Lapponia, molto distante dalle isole Lofoten, ma a me basta leggere qualcosa del grande Nord per dialogare fin da subito col mio sogno di arrivare in pieno inverno, a piedi, di fronte all’aurora boreale. Adoro osservare chi mi ascolta mentre racconto il mio progetto. Negli occhi di chi ho di fronte vedo chi mi sta prendendo sul serio, chi scherzando mi da del pazzo o, peggio, chi prende sul serio quella che considera la mia follia. Sorrido, taccio, rido, scherzo, eppure conservo il mio sogno dentro di me consapevole di quanto l’attesa di ciò che sogni regala da sola gioia di vivere. Così è per me ogni prossima avventura. Così lo era anche per Silje.

Doveva essere un sogno per Silje arrivare dalla Norvegia a correre la SudTirol Ultra Skyrace, oltre cento chilometro sulle Alpi della Val Sarentino, partenza e arrivo a Bolzano. Me lo l’immagino che gioia possa essere stata per lei la sua prima notte buia d’estate, caldissima come quei giorni. Più che immaginarmela me la ricordo perché la stessa notte ero uno dei tanti pazzi della Trans d’Havet di corsa giù dalle creste del Summano verso Novegno e Pasubio. Eravamo a poche decine di chilometri in linea d’aria, noi sulle montagne di casa nostra, lei su montagne nuove per lei, con la stessa calda temperatura, prima dei temporali previsti per il giorno dopo.

Silje Fismen. Un nome come un altro, una concorrente che corre le mie stesse gare. Una di noi, una delle tante persone che conosci per caso in gara, di qua e di là per il mondo, che magari vedi solo per mezzora, ma che in quel poco tempo condivide con te il piacere della corsa selvaggia. Una che avrei fatto fatica a seguire, anche in una distanza come le cento miglia. Ci penso, magari avrei potuto essere nel suo stesso punto o un po’ più indietro. Penso agli altri concorrenti li vicino che hanno sentito il boato, che l’hanno vista cadere a terra. Silje, una mamma di due figli con le mie stesse passioni, di corsa di fronte alle Dolomiti, ha visto spegnersi il suo sogno.

Erano le sette di sera, ero lì a Valdagno verso le docce, a maledire i miei errori con le scarpe e il dolore ai piedi che mi aveva rallentato. Cominciava a piovere mentre sopra Merano il temporale dava tutto il suo sfogo. Silje Fismen si è fermata lì sotto il temporale che minaccia ciascuno di noi, nelle nostre gare folli in quota. Penso a  tutti quelli che pensano poteva toccare a me, a noi che non ci saremmo mai fermati nemmeno sotto tuoni e fulmini in cima al Carega. Un colpo di fulmine ci ha fatto innamorare di questo sport, un colpo di fulmine può anche farci morire.

La forza del sogno ti porta a correre a tanti chilometri da casa. La forza del sogno ti immagina a piedi così lontano da casa. Riprendo i miei appunti sul mio viaggio atteso, riguardo cosa potrei trovare a Kaliningrad di Konigsberg, l’antica città natale di Immanuel Kant. Solo l’immaginare di entrarvi a piedi riempie di gioia di vivere. Solo chi corre così libero, anche con la mente, può davvero capire. Arriverà magari il giorno in cui entrerò in Norvegia. Sarò lontano dall’arcipelago delle Lofoten. Ma proprio come oggi non mi dimenticherò di te. Ciao Silje!