Fondazione Di Vittorio: salari italiani in caduta libera

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Salari italiani in caduta libera. Lo sostiene un rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil che, ha messo a confronto le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato e le paragona a quelle degli altri grandi Paesi europei. Gli stipendi degli italiani secondo questi dati, hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette anni, mentre all’estero, in particolare in Germania e Francia, sono saliti.

Anche la Spagna, che tra le grandi economie continentali è quella che insieme all’Italia ha sofferto di più il primo (2009) e il secondo (2012) shock recessivo, dal 2014 dimostra tassi di crescita sostenuti e nel 2016 ha recuperato quasi completamente le perdite patite (-0.5% rispetto al 2007).  L’Italia, invece, stenta ancora a ripartire e la crescita del prodotto, benché le stime siano state di recente riviste verso l’alto, è ancora debole: le proiezioni elaborate a maggio configurano un saggio di crescita nettamente più alto per l’area Euro e collocano il Pil italiano nel 2018 ancora cinque punti sotto il valore del 2007.

Il rapporto della Fondazione Di Vittorio elenca i dati delle retribuzioni lorde (vanno tolte tasse e contributi), utilizzando le più recenti rilevazioni Ocse, dal 2001 al 2017. Risultato: in Italia nell’intero periodo c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059 euro, circa il 3,5 per cento.

“Nel nostro Paese – afferma il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni – il calo del Pil è stato più forte e la ripresa più lenta della media europea, oltre che a causa delle misure di austerità e della crescita delle diseguaglianze, anche per effetto della mancanza di investimenti, come dimostrano i punti di ritardo dell’Italia, in termini di variazione del capitale fisso, dalla zona Euro (-17,6 punti percentuali tra il 2007 e il 2016) e dalla Germania in particolare (-35,2 punti).L’analisi è circostanziata e basata sui salari reali, cioè aumentando “virtualmente” le retribuzioni di allora come se i prezzi del 2010 fossero stati gli stessi di oggi, il confronto è cioè fatto a “prezzi costanti”: ebbene se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di 30.272 euro nel 2017 è scesa a quota 29.214. Possiamo comprare 1.000 euro di beni e servizi in meno.

Diversamente è andata in Germania e in Francia. Il lavoratore dipendente tedesco nel 2010 godeva già in media di una retribuzione lorda più alta di quello italiano, collocandosi a quota 35.621 e nel 2017 è salito di ben 3.825 euro quota 39.446 euro. Anche il lavoratore francese nel 2010 guadagnava di più del nostro – era a quota 35.724 – e nel 2017 porta a casa il 5,3 per cento in più collocandosi a 37.622 euro.

L’analisi della Fondazione Di Vittorio, realizzata da Lorenzo Birindelli, punta l’indice soprattutto sul part time e sui lavori discontinui, che la metodologia Ocse include nella rilevazione sommandoli e riconducendoli “virtualmente” a prestazioni full time: ebbene le nostre retribuzioni per i lavoratori a tempo parziale sono più basse della media dell’Eurozona, da noi valgono il 70,1 cento del full time in Europa l’83,6 per cento.

Inoltre nel nostro Paese è  calata anche la quota di dirigenti e di professioni tecniche. In sostanza in Italia si è ridotta la presenza delle alte qualifiche (7 punti percentuali in meno in questo ultimo ventennio) mentre sono aumentate di 2 punti percentuali le basse qualifiche.

Sempre per Fammoni le soluzioni però ci sono: “Il tema dei redditi può e deve essere affrontato in più modi: intervento su qualità e quantità dell’occupazione; una nuova fase di contrattazione a tutti i livelli; una vera e propria riforma fiscale in senso progressivo che recuperi risorse verso le retribuzioni”.