I nostri occhi su Gaza. Per la popolazione, per i giornalisti e le giornaliste uccisi


Oggi l’Italia per alcune ore si ferma, scioperando e scendendo in piazza per la giornata nazionale a fianco della popolazione di Gaza. Nella nostra redazione, come persone prima che giornaliste e giornalisti ci siamo chiesti cosa fare: sospendere il flusso di informazioni per aderire a questa richiesta di azione da parte delle istituzioni o proseguire nel nostro compito di informare?
Alla fine abbiamo deciso di esserci, non con un gesto simbolico, ma con una assunzione concreta di responsabilità: prima come cittadini e cittadine, poi come giornalisti. Perché non possiamo restare a guardare mentre si compie una tragedia che dovrebbe interpellare ogni coscienza.
Il nostro dovere è informare, dare in modo preciso, corretto e approfondito strumenti affinchè chi ci legge possa costruirsi un’idea il più possibile informata. Ed è quello che faremo. Gaza è diventata teatro di una catastrofe che va ben oltre le linee del conflitto armato. Secondo dati recenti: l’83% delle persone uccise dagli attacchi israeliani è costituito da civili (Ansa). Questo significa donne, bambini, anziani, persone fragili, ossia quelle stesse persone che la comunità internazionale dovrebbe proteggere in forza dei diritti umani più basilari. Uno degli eserciti più forti e tecnologici al mondo, di fronte a una popolazione che dal 1947 vede erosa la sua possibilità di vivere dove è sempre vissuta e che oggi viene attaccata mentre è priva di ospedali, case, cibo e servizi igienici. Una popolazione costretta già a subire l’ingombrante potere di un’organizzazione politica e terroristica come Hamas.
Il tutto senza che da due anni a giornalisti internazionali sia data la possibilità di documentare da dentro quanto sta succedendo. Non solo: assassinando – letteralmente – giornalisti e fotoreporter gazawi che ogni giorno sono bersaglio dell’Idf: dal 7 ottobre 2023 ad agosto 2025 almeno 246 giornalisti sono stati uccisi a Gaza, il conflitto più letale mai registrato per la libertà di stampa. Tra blackout informativi, fame e bombardamenti, i reporter palestinesi denunciano da tempo di essere bersagli deliberati delle forze israeliane.
Le Nazioni Unite hanno decretato ufficialmente una carestia: sono già centinaia i morti, soprattutto fra le persone già fragili o ammalate. Centinaia di migliaia di persone vivono già in condizioni di fame estrema, con migliaia di casi gravissimi, specialmente tra i minori (Wired). La situazione umanitaria è allo stremo: ospedali, acquedotti, fognature e infrastrutture essenziali sono distrutti o gravemente compromessi; l’accesso ai soccorsi è ostacolato e i corridoi umanitari restano una goccia nel mare. Intanto la vita quotidiana e la speranza diventano un lusso per pochi.
In Italia, sul piano politico, si muove poco. Si susseguono dichiarazioni e richiami ai principi del diritto internazionale: parole che ogni giorno ci risuonano inadatte alla gravità della situazione e alle responsabilità della stessa, mentre le azioni concrete restano timide se non nulle. Non c’è una posizione chiara sulla sospensione delle forniture militari, non c’è una pressione diplomatica forte e incisiva. Le opposizioni protestano, i sindacati scendono in piazza, la società civile chiede risposte. Eppure il dibattito istituzionale resta evasivo, ancorato a parole e promesse. Un governo ostaggio di Netanyahu e di Trump, senza coraggio e coerenza.
Aderiamo con le nostre modalità oggi – lo ribadiamo – come cittadine e cittadini, perché nessun mestiere può prescindere dall’essere umano. E come giornaliste e giornalisti, perché il nostro compito non è soltanto informare, ma anche denunciare, stimolare la coscienza collettiva, dare voce a chi non ha voce. Nel nostro ruolo, sentiamo con un peso al cuore questa responsabilità.
Ci mettiamo dalla parte delle vittime (ostaggi compresi), perchè crediamo sia l’unico posto in cui come operatori e operatrici dell’informazione dobbiamo stare. Delle vittime di decenni di occupazione di terre palestinesi, delle vittime del 7 ottobre, degli ostaggi ancora in mano ad Hamas e di tutte le persone che stanno subendo una deportazione forzata e un vero genocidio (non lo diciamo noi, lo dice l’Onu). Abbiamo chiarissimo che ogni nuova vittima si aggiunge alle precedenti, anche a quelle del “nemico”: la violenza provoca un’addizione, non una sottrazione, non riporta indietro le vittime, mentre invece allontana una soluzione che consenta a tutti di tornare a vivere. In questo caso, le azioni scellerate del governo israeliani stanno danneggiando, per decenni, anche la sua stessa popolazione.
Di più, non vogliamo dimenticare le vittime di tutti i conflitti dimenticati, dall’Ucraina al dramma del Sudan, fino ai milioni di morti nella Repubblica Democratica del Congo. La nostra è una adesione “attiva”: cerchiamo sempre di offrire uno sguardo sul mondo che racconti quello che accade, ma ci impegneremo ancora di più a privilegiare analisi, testimonianze e reportage che raccontino cosa significhi vivere senza diritti, cure e sicurezza. È una scelta che nasce dalla convinzione che il giornalismo autentico non possa rimanere neutrale davanti all’ingiustizia.
A voi che ci leggete, diciamo: informatevi. Non accettate versioni semplificate o filtrate. Approfondite e verificate attraverso fonti affidabili come le Nazioni Unite (OCHA, WHO), l’Unicef (per la condizione dei minori), Amnesty International, Medici Senza Frontiere, e Human Rights Watch. Leggete e guardate indagini giornalistiche come quelle del Guardian in collaborazione con +972 Magazine e Local Call (Ansa), Internazionale e Limes. Leggetevi i dossier di Francesca Albanese, dal 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, giurista italiana ed esperta di diritto internazionale, specializzata in diritti umani e Medio Oriente. Leggete e fatevi una vostra idea non preconfezionata.
Chiedete ai vostri rappresentanti politici azioni immediate: cessate il fuoco, corridoi umanitari, sospensione degli armamenti, pressione diplomatica forte, mobilitazione europea. Non restate spettatori. Informatevi, chiedete, fate pressione.