Michela Murgia e la famiglia “queer”: il presente e il futuro di tante persone

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Michela Murgia, che lotta con un tumore al quarto stadio, si è sposata nei giorni scorsi in “articulo mortis” con Lorenzo Terenzi, uno dei dieci componenti di quella che lei stessa in una intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, ha definito la sua “famiglia queer” con cui sta condividendo il suo percorso di vita in questi anni contrassegnati dalla malattia (ha raccontato lei stessa di avere metastasi ai polmoni, alle ossa, al cervello).

“Queer” è un termine generico utilizzato per indicare coloro che non sono eterosessuali, ma qui, come spiega lei stessa, si intende un “nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla”. L’ha definita anche una “famiglia polifunzionale”.

Il motivo principale della scelta di sposarsi, la scrittrice sarda lo ha spiegato bene, è avere qualcuno con cui ci si vuol bene che possa scegliere per lei nel caso in cui non sarà in grado di farlo autonomamente: “Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me. Amo e sono amata, i ruoli sono maschere che si assumono quando servono” ha detto sempre nella famosa intervista.
“Niente auguri, – ha specificato commentando con un post su Instagram il suo matrimonio – lo abbiamo fatto controvoglia. Se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere“.

Michela Murgia sta usando lo scampolo di vita che le rimane (e quanto deve essere difficile per lei) per porre una questione fondamentale: Cosa è famiglia oggi?

L’Istat, che per famiglia intende “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”, ci dice (Rapporto 2022) che quelle composte da una sola persona sono passate dal 24 a 33,2% (una su tre, ossia 8,5 milioni di persone) e anche quelle composte da un solo genitore e figli sono una su dieci. Proseguendo queste tendenze, nel 2040 quasi 4 famiglie su 10 potrebbero essere costituite da persone sole, soprattutto anziani. E le coppie senza figli potrebbero numericamente sorpassare quelle con figli entro il successivo quinquennio.

Se pensiamo alla precarietà delle relazioni affettive, alla quantità di famiglie sempre più piccole, dove si fanno sempre meno figli, composte da una o due persone, da single, da famiglie ricomposte, se ci soffermiamo sulle persone sole per scelta o necessità, ma anche sulla quantità di famiglie “tradizionali” che non sono un paradiso, dove magari ci si scanna, o non si riesce per mille motivi a prendersi cura l’uno dell’altro, dobbiamo considerare che sempre più in futuro il tema sarà proprio questo: chi non è in coppia (e ormai essere in coppia “per sempre” è praticamente un privilegio o una botta di fortuna), o fatica a contare per vari motivi sulla famiglia “di sangue”, può pensare ad avere una piccola comunità di riferimento, di affetti profondi e sinceri, con cui condividere scelte fondamentali per il suo futuro?
Guardiamoci attorno: quante persone ciascuno di noi conosce in questa situazione o la vive in prima persona?

Michela Murgia va per questo ringraziata: perché disturba i nostri stereotipi che non sono più al passo coi tempi (e con le statistiche). Ci propone di ampliare lo sguardo su quelle che sono le relazioni importanti nella nostra vita, che non necessariamente sono quelle “di sangue” o di matrimonio, ma sempre più spesso, per sempre più persone, quelle “di anima”.
Perché, al di là del tema “queer”, sono le persone che a vario titolo scegliamo reciprocamente per affinità elettiva quelle a cui ci affideremo con fiducia quando saremo più fragili e indifesi.

 

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