Regolarizzazione migranti: verso l’intesa su permessi di 6 mesi ma con vincoli

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Il dado è tratto. Dopo giorni di braccio di ferro, sarebbe stato raggiunto l’accordo sulla regolarizzazione dei migranti che lavorano nei campi e come badanti e colf “in nero” . Un’intesa arrivata durante la lunga maratona notturna tra il premier Giuseppe Conte e i capi delegazione dei partiti di maggioranza.

I migranti che lavorano nei campi o nelle nostre case potranno dunque godere di un permesso di sei mesi, ma condizionato a una serie di vincoli stringenti. Occorreranno infatti l’istanza del lavoratore ma anche quella del datore di lavoro, che dovrà dunque essere disponibile ad assumersi l’onere di regolarizzare il dipendente ma in cambio otterrebbe uno scudo penale e amministrativo per aver denunciato le irregolarità pregresse. Il lavoratore otterrà un permesso temporaneo convertibile in permesso di lavoro alla sottoscrizione del contratto. Ma dovrà provare di aver svolto in passato attività lavorativa nel settore agricolo o domestico. A controllare sarà l’Ispettorato del lavoro. Secondo le stime del ministero dell’Interno, non ancora ufficiali, i regolarizzati potrebbero essere circa 500mila.

“Rifiniture sono in corso”, commenta ancora prudente la ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova che nei giorni scorsi aveva minacciato le dimissioni se non fosse passata la regolarizzazione chiesta a gran voce dalle imprese del settore. A non aver mai dubitato della possibilità di un’intesa la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

Avrebbe dato un sostanziale via libera anche la ministra del Lavoro, la grillina Nunzia Catalfo, benché dal Blog delle Stelle al capo politico del Movimento, Vito Crimi, ci sia un “no” ripetuto. “Sul tema dei lavoratori stagionali, rimaniamo fortemente contrari rispetto a qualunque intervento che si configuri come una regolarizzazione indiscriminata – scrivono in una nota i pentastellati-. Non riteniamo questa una soluzione che possa rispondere alle reali esigenze nostre aziende del settore agroalimentare. Confermiamo il nostro principio di partenza: il permesso di soggiorno deve essere legato ad un contratto di lavoro, non viceversa”. “Resta poi confermato il nostro fermo ‘no’ rispetto a qualunque ipotesi di sanatoria sui reati commessi. Non possiamo immaginare che possa farla franca chi si è macchiato di caporalato, di sfruttamento delle persone. Questo significherebbe, tra l’altro, anche prendersi gioco di tutte quelle aziende oneste che invece hanno sempre rispettato le leggi e rispettato i diritti dei lavoratori. Se vogliamo dare un segnale forte e chiaro, dovremmo inasprire le pene e aumentare i controlli”.

Ad ogni modo, per il Viminale il testo è un buon compromesso. Salvo ultimi colpi di coda dei 5Stelle, il provvedimento per ora c’è.