Il Covid-19 anche in Sierra Leone, ma i bimbi di Maria Teresa sostengono i veneti

Il nuovo Coronavirus è arrivato anche in Sierra Leone ma i bimbi della scuola di Maria Teresa Nardello – che hanno conosciuto un’epidemia molto più grave e mortale come l’ebola – rivolgono comunque il loro pensiero agli amici italiani, con un messaggio scritto alla lavagna.

La “prof” di Schio in pensione (ha 75 anni) da oltre 18 anni vive a Lakka, periferia di Freetown, la capitale della Sierra Leone. Qui anche con l’aiuto di tanti benefattori vicentini ha fondato una scuola frequentata da moltissimi bambini e ragazzi della zona. “In un paese povero come la Sierra Leone – spiega Maria Teresa Nardello – il cibo predomina sul quotidiano. Anche recentemente sono stati distribuiti a 120 famiglie povere del villaggio un sacco di riso da 25 chili insieme a tre saponette disinfettanti”.

Gli alunni della St.Catherine School e altri ragazzi che ora frequentano le medie e le superiori – racconta la volontaria vicentina – sono a casa da quando è stato chiuso il secondo semestre di scuola, il 31 marzo. Non si sa quando riapriranno e se riapriranno in questo anno scolastico. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e sono vietati gli eventi con più di cento persone, non ci sono voli per arrivare e neppure per partire. Ci sono contenitori con disinfettanti davanti ai negozi e agli edifici pubblici e sulle spiagge, perché i pescatori possono avere contatti con colleghi della Guinea e della Liberia”.
Sono circa 150 gli italiani a Freetown. “Molti di loro si considerano più al sicuro qui che in Italia, soprattutto chi ha la famiglia a Milano e a Reggio Emilia. Non ci sono casi, per il momento, ma non ho sentito parlare di tamponi. Io ho sempre cercato di fare prevenzione con i ragazzi e le famiglie, a tutti i livelli, cercando di estirpare qualche piccola, grave abitudine dovuta alla povertà, ma come si può immaginare non è semplice. Inoltre in questo momento non si può più contare sugli aiuti internazionali, impiegati e impegnati altrove. Qui si muore, ma raramente si sa di che cosa” conclude la Maria Teresa Nardello.