Omicidio Barretta, il marito killer ha confessato. Il corpo nascosto per 24 ore

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La coppia in una foto di qualche anno fa

I carabinieri e gli inquirenti già da tempo non avevano alcun dubbio: il colpo di pistola che ha ucciso Anna Filomena Barretta è stato esploso da Angelo Lavarra. Strappando una madre all’affetto delle sue figlie e ponendo fine all’esistenza della donna amata divenuta per lui un’ossessione, durante la fase di separazione. A distanza di 8 mesi dal terribile uxoricidio ogni residuo punto oscuro è stato illuminato dalla confessione della guardia giurata di origini pugliesi che in Veneto, a Marano, aveva costruito una famiglia. Per poi distruggerla, in un attimo. A delineare nei dettagli i nuovi – e probabilmente definitivi – risvolti del tragico fatto che sconvolse il Vicentino lo scorso autunno, un ampio servizio sulle pagine del Giornale di Vicenza. Il killer avrebbe premuto il grilletto circa 24 ore prima, un unico colpo. Nascondendo la donna in camera da letto e mentendo alle figlie.

Angelo Lavarra, 43 anni, aveva inscenato un suicidio. Rivelatosi finto. Ripulendo la scena del crimine, trascinando il corpo senza vita della cassiera del Carrefour di Thiene sotto il letto matrimoniale e continuando la vita di sempre nelle ore successive. Per un giorno intero. Fino a portare a compimento un piano che, sin dai primi momenti, presentava falle multiple. All’origine del dramma, l’incapacità di Lavarra, accecato dalla gelosia, di accettare la separazione: verosimilmente in quelle ore fatali l’uomo aveva visto dissolversi l’ultima sua aspettativa di riconciliarsi con Anna Filomena. Fino a questi giorni aveva negato ogni addebito, scrivendo anche una lettera alle figlie proclamando la sua innocenza.

Ciò che gli investigatori hanno progressivamente ricostruito con meticolosità nei giorni successivi al femminicidio, dunque, ha trovato conferma nelle parole di un padre e marito trasformatosi in assassino. La sua resistenza al confessare la verità è durata otto mesi, periodo trascorso in cella dopo una prima fase di indagini in cui l’uomo era rimasto a piede libero, seppur da principale sospettato. I rilievi nell’abitazione di via Aldo Moro, gli esiti dell’autopsia e la ricostruzione delle dinamiche relazionali e familiari avevano tracciato una direzione univoca e incontrovertibile, con la presunzione d’innocenza di Lavarra a vacillare di giorno in giorno, fino all’evidenza dei fatti.

Decisiva la tenacia con cui la famiglia d’origine della vittima, anche lei di origini pugliesi, si era opposta alla tesi iniziale del suicidio. Un atto estremo a cui la madre e le due sorelle non avevano creduto nemmeno per un secondo, chiedendo da subito di torchiare il marito e di fatto ancora convivente. Per poi accudire le due ragazze, entrambe minorenni, lasciate sole senza una mamma, morta, e di fatto senza un papà, rinchiuso in carcere con la più infamante delle accuse.