Dal quaderno di scuola alla pellicola del Festival, 83 anni dopo. L’Africa Bianca in un “corto”

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

Pagine di quaderno colorate e righe scritte in corsivo da Mario Dall’Igna, bambino di Zanè della quinta classe quando correva l’anno 1937. Alunno delle scuole elementari, che studiava quella che per lui era l’attualità come materia, e che per noi, invece, rappresenta la nostra controversa storia. In piena epoca fascista. Tempi in cui l’Italia colonialista scriveva pagine d’inchiostro nero e rossosangue, ridisegnando i confini dell’Africa nordorientale, negli stessi anni in cui i ragazzetti giocavano con le sfere di stoffa fatte di stracci nei cortili o per le strade bianche, con indosso “braghe di fustagno” e sandali (quando andava bene). Oggi come allora è il dì di festa ma anche di Festival, per un giovane regista vicentino, “in onda” per il suo debutto nel 38° Torino Film Festival.

Filippo Foscarini è uno dei nipoti del fanciullo Mario, e anche lui ha giocato a calcio – nelle giovanili del Vicenza, compagno di squadra e di “macchinata” dall’Altovicentino di Nicola Rigoni per citarne uno -, ma ha scoperto ben presto che quello non era il suo unico talento. Lo ha capito sondando le sue aspirazioni nell’intimo più profondo, sperimentando esperienze e strade, coltivando idee, studiando e studiandosi, infilandosi in un “ciak” esistenziale tutt’ora con sceneggiatura aperta, fino a raggiungere forse il primo dei suoi sogni: realizzare un film/documento, in questo caso un cortometraggio di 23 minuti intitolato “Africa Bianca“, sua opera prima. E proiettata proprio oggi nell’ambito del Torino Film Festival, una delle massime rassegne cinematografiche di respiro internazionale che si svolgono in Italia. Partecipa (fuori concorso) alla sezione Educational.

Una pagina del quaderno di scuola “ispiratore”

Cresciuto a Zanè, classe 1990, Filippo vive da qualche anno in Sicilia dopo la laurea in Lettere conseguita a Venezia alla Ca’ Foscari (il diploma di maturità alle Dorotee di Thiene). A Palermo, per la precisione, dove sta per concludere un triennio di studi, in Cinematografia Sperimentale, la più importante scuola nazionale di settore con sede centrale a Cinecittà a Roma, e periferica a Palermo, dedicata al cinema del reale e documentario. Un’immersione totale in quella goccia d’adolescenza divenuta oceano nella maturità: la passione per la pellicola. Ricavandosi uno spazio su misura, un proprio ambito: il cinema realistico. Nel marzo 2018, in occasione di un triste evento, la prematura morte del fratello di mamma Donata, Filippo appoggia sulla scrivania la telecamera. Ritorna a Zanè e proprio nella storica casa di famiglia sopra l’Antica Osteria Fance, spostando scatoloni e bauli in soffitta, si imbatte in preziosi ricordi di quel nonno-bambino.

Ritrovandosi come folgorato, sfogliando un quaderno colorato a matita, che lo catapulta indietro di quasi 90 anni. Rileggendo la storia. Da quel giorno ad oggi scorrono veloci 20 mesi, ore su ore di ricerca negli archivi dell’Istituto Luce a Roma, idee che si avviluppano e poi si districano come una matassa, e un’opera che prende forma come “tesi” sul piano pratico del suo percorso da picciotto veneto in terra sicula. Opera che viene selezionata, non senza sorpresa, per la visione in anteprima in un festival internazionale. Con la data del 22 novembre segnata sul calendario idealmente con le stesse matite colorate di quel bambino infinito tramandato di generazione in generazione. Per chi si fosse incuriosito, basta accedere alla piattaforma Mymovies e acquistare il biglietto virtuale, con 48 ore a disposizione per vederlo in “prima visione”. Dalle 14 di domenica a questo link.

Fondere i disegni con le immagini di repertorio, senza la necessità di una voce fuori campo, con suoni, disegni e foto a raccontare tutto senza filtri. Questa la sua idea. Esperimento riuscito, tanto da accedere a una rassegna tra le più accreditate. Ripensando a quel tasto play tante volte premuto. “La passione per il cinema è nata guardando una marea di cassette vhf – ci racconta il giovane regista veneto – proprio di mio zio Gianni a casa. Questo corto infatti è doppiamente legato a lui, sia per avermi trasmesso questa curiosità sia perchè quando sono risalito a Zanè per dargli l’addio per caso ho trovato il quaderno che mi colpì tantissimo”.

Dal pallone biancorosso alle pellicole quasi sempre in bianco e nero il passo non è stato poi così breve. Nè facile. “A 18 anni mi sono stancato del calcio, mi sono buttato a capofitto nello studio, interessandomi in particolare di cinema documentario e antropologia. Anni dopo proprio sugli Ultras della Curva Sud ho realizzato un breve lavoro, presentato come prova di ammissione al centro sperimentale a Palermo: è stato apprezzato, e qui ho cominciato ad acquisire fiducia”.

Africa Bianca, la Somalia da “spartire” di allora secondo i piani espansionistici del periodo mussoliniano, da sfogliare attraverso una fantasmagoria di immagini. “Tutto nasce da un quaderno. Per me è stato una specie di incantesimo, era custodito in un armadio in casa dei nonni, conservato perfettamente. Mi hanno attratto soprattutto i disegni. Nel 1937 il papà di mia madre aveva 10 anni, allora frequentava la quinta. Mi accompagnava e mi veniva a prendere alla scuola elementare, vicina a casa nostra, fino al 2000. Piccole coincidenze ma ci penso spesso: quando è morto avevo proprio 10 anni. In quelle pagine si racconta l’esperienza della conquista imperiale in Africa Orientale, ancora poco studiata e sdoganata a mio modo di vedere nei libri di storia, a maggior ragione dopo le vaste ricerche d’archivio in funzione del film. Che dura 23 minuti, ricavato da 10 ore di pellicole dopo una prima selezione del materiale video. E’ stato un lavoro lungo e impegnativo, svolto all’Istituto Luce in gran parte, con l’idea di base di fondere l’immaginario di un bambino con le immagini di repertorio”.

La storia viene raccontata da uno scolaretto del tempo, infatti, un piccolo quanto ingenuo sguardo su un tema imponente. Quello che per noi è storia, appunto, per il piccolo Mario rappresentava un quotidiano difficile da capire, “insegnato” a scuola e poi filtrato dai suoi acerbi 10 anni di età. La pellicola è firmata dunque da Filippo Foscarini in regia e da Marta Violante, milanese, collega di studi. “Africa Bianca la mia opera prima? Beh, sì, si può definire così visto che soprattutto è la prima volta che partecipo a un festival – continua Foscarini -. E sto lavorando per la seconda. Sto realizzando ora il mio primo lungometraggio qui in Sicilia, occupandomi della regia e dei suoni in presa diretta, montaggio incluso. Riguardo al Festival piemontese il più grande rammarico è non poter presentarla in sala, visto che per forza di cose l’edizione 2020 si tiene solo on line ma pazienza, esordire subito in un festival di questo calibro rappresenta un sogno realizzato anche per il solo fatto che la giuria abbia selezionato il mio cortometraggio”.

Filippo Foscarini, regista esordiente vicentino

Titoli di coda del debutto? “La dedica di questo piccolo traguardo rappresentato da Africa Bianca è intimamente legata a mio nonno Mario e mio zio Gianni, visto che grazie a loro è nata l’idea e la passione. Proprio in questi giorni, una delle docenti del corso – Valentina Pedicini, giovane e apprezzata regista di 42 anni stroncata da un male incurabile – che mi hanno seguito in questi mesi è venuta a mancare. Insieme a Sara Fgaier devo loro un grazie di cuore”.

GUARDA IL TRAILER