Rsa, l’argine al Covid si sgretola: il servizio di Piazza Pulita (La7) sulla Marzotto

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Tanta umanità, ma anche senso del dovere, amore per la propria professione e quelle dimostrazioni di coraggio quotidiano che bisognerebbe toccare con mano per comprendere fino in fondo. A renderla “visibile agli occhi”, almeno, ci pensa un servizio tv – andato in onda giovedì sera – registrato in una struttura socio assistenziale su una rete nazionale. Qui in Veneto, o meglio nel Vicentino.

La fragile nei mezzi ma determinata nel carattere frontiera delle case di riposo prova a resistere all’assedio intermittente dell’incubo Covid-19, con la Rsa di Valdagno gestita dalla Fondazione Marzotto ad essere scelta dal programma di La7 “Piazza Pulita” per raccontare il quotidiano vivere all’interno di una casa di riposo.

Nel caso specifico, nel centro servizi per anziani che si trova nella città sociale e in cui si erano registrati 6 ospiti positivi, messi in isolamento. Poi 11, poi ancora 27 mercoledì scorso. Fino ad arrivare – ieri – a 47 tra utenti e operatori, su un totale di 430 persone circa tra pazienti (215) e figure professionali diverse, in un’escalation che toglie il fiato a chi dentro ci lavora e innegabilmente si affeziona ai “nonni” degenti, oltre che il respiro a chi si ammala gravemente. Ma solo per un attimo. Prima di riprendere le proprie mansioni.

Un atto di trasparenza e insieme di realistico coraggio quello di aprire le porte della residenza a una telecamera, al pari della disponibilità del personale interno – infermiere e personale Oss ausiliario – a raccontare in viva voce, a volte rotta dall’emozione, ogni passaggio anche critico all’interno di una Rsa, alle prese con un’ondata di coronavirus che stavolta ha rotto gli argini. Anche qui. Stavolta perchè la seconda, quella autunnale, più violenta e contagiosa, è stata dirompente ai primi di novembre, dopo che la stessa struttura era rimasta immune dalla prima epidemia di marzo/aprile. Una delle poche nel Vicentino.

“A volte mi viene da piangere prima di venire – spiega un’operatrice – ma poi mi faccio forza, è il mio lavoro”. C’è chi, una giovane infermiera, si è laureata da appena un anno e mai si sarebbe aspettata di trovarsi in prima linea, pur se alla prime armi. “Noi siamo in guerra, bisogna combattere – dice rassegnata – non pensavo minimante di trovarmi subito in un mondo così disastroso”. Sono nascoste dietro le mascherine e protette forse non abbastanza da camici, guanti e visiere. Ma con ugualmente visibile la forza d’animo. “Qui sto bene, anche se è difficile lavorare a volte per 12 ore, ma vado a letto contenta. Ora basta, sennò mi face piangere”, dice una terza al microfono a distanza della giornalista inviata.

Alle testimonianze di chi ci lavora si affiancano anche i volti e le voci degli anziani, debilitati nel fisico ma lucidissimi di fronte alla guerra pandemica, dopo che alcuni tra loro ricordano ancora il secondo conflitto mondiale. Tra chi non nasconde la preoccupazione – “Chi è che non ha paura di quella bestia lì?” dice un’ospite -, chi ha nostalgia dei nipotini – “Non li vedo da 9 mesi” dice un’altra nonna – e chi a 88 anni di età, separato dalla moglie anche lei ospite del centro, si affida al fatalismo per nascondere il timore, ma ammette che “Tutti abbiamo paura, è quello là che decide”, riferendosi a Dio. Ma di lui, parlano gli occhi e l’espressione più di ogni parola.