Giovanni Chinnici a Vicenza: “Papà sapeva che lo avrebbero ucciso, così fece il pool antimafia”

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“Anche quel giorno il cielo era maledettamente azzurro, c’era il sole come accade almeno per 300 giorni l’anno: io invece lo immaginavo grigio, forse perchè il mio mondo era cambiato ed io avevo perso mio padre”. In sala c’è un silenzio composto, ma i volti di molti sono tirati e qualcuno ha gli occhi lucidi mentre Giovanni Chinnici, figlio del noto magistrato ucciso dalla mafia, si lascia andare ad una delle poche considerazioni quasi intime del suo racconto.

La presentazione del libro sulla vita di Rocco Chinnici, una prima nazionale debuttata ieri sera a Palazzo Bonin Longare a Vicenza ancora prima che a Palermo grazie all’impegno profuso dall’intervistatrice e amica Cinzia Capitanio con il supporto della storica libreria Galla, è stata soprattutto l’occasione per ribadire che la lotta e l’impegno profusi da un uomo del profondo Sud oltre quarant’anni fa, rimangono un punto di partenza e uno sprone anche per l’impegno civile cui tutti sono chiamati anche oggi.

Parole che in apertura ha voluto far proprie il Prefetto del capoluogo berico Salvatore Caccamo, che ha sottolineato come anche la nostra provincia non sia esente da infiltrazioni mafiose, specie in alcuni ambienti imprenditoriali: in prima fila con lui anche una rappresentanza dell’Ordine dei Magistrati del foro di Vicenza oltre che alcuni esponenti dell’Ufficio Scolastico della provincia.
“Ricordo un’infanzia fatta di lunghe passeggiate domenicali – ha spiega Chinnici – dove la manona di mio padre stringeva la mia. Il nostro rapporto è stato fatto più di silenzi che di parole: non sono stati rari nemmeno i momenti di scontro, come quando gli venne riassegnata la scorta e lo affrontai accusandolo di costringerci ad una vita da carcerati”.

Esternazioni genuine che ripercorrono i pensieri di un adolescente che ancora non poteva aver contezza di ciò che il padre stava facendo, preso tra scartoffie e incontri a tutte le ore del giorno fino a quel drammatico 29 luglio. “Mio padre sapeva che sarebbe morto – ha raccontato senza esitare il figlio ora titolare di un’affermato studio legale palermitano – ben ricordo un colloquio con un appena quarantenne Giovanni Falcone in cui si dicevano che condividendo documenti e attività, quando fosse capitato, almeno qualcuno avrebbe potuto proseguire l’attività istruita”.

“Quando e non se” (l’avrebbero ammazzato), ha scandito sillabandole Chinnici, perchè il destino era segnato: troppo in là si era spinto quel magistrato scomodo che aveva intuito che seguendo il denaro e i suoi lunghi giri tra assegni girati più e più volte, sarebbe arrivato vicino alle risposte che prima nessuno aveva avuto. Senza contare l’intuizione di creare appunto un pool che avrebbe fatto poi la ‘fortuna’ della lotta contro il cancro della mafia, assestando alla malavita organizzati diversi colpi con catture clamorose.
“Ma Palermo viveva bene, dovete pensare che i soldi sporchi della mafia erano reinvestiti nella città in modo capillare – prosegue ancora Chinnici – e anche laddove non c’era l’esatta cognizione di cosa avvenisse, c’era comunque la benevolenza di accettare senza fare troppe domande. Nessuno si chiedeva di quelle decine di ragazzi morti, distrutti dall’eroina: eppure l’eroina arrivava tramite un solo canale e quelle morti sono sulla coscienza di tutti”.

E se una lezione rimane anche oggi, è quella di proseguire nel solco dell’attività che da innovatore il giudice Chinnici intraprese per primo girando fra le scuole per parlare di legalità: “La mafia aveva coperture finanziarie e politiche – ha concluso il figlio – ma se oggi possiamo avere fiducia è perchè se ne parla ed esiste una cultura che combatte l’ignoranza. I nostri giovani sono la chiave, anche mio padre credeva molto in loro”.

Testimoni di un passato non troppo lontano dove dopo il boato della Fiat127 che strappò alla vita, oltre al giudice, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta ed il portiere dello stabile in cui viveva, Stefano Li Sacchi, Palermo quasi tornò indifferente alla sua quotidianità. Spalle voltate che hanno fatto la fortuna di chi ha potuto continuare indisturbato nel malaffare e che oggi invece, grazie anche al sacrifico di uomini come Chinnici e dei suoi allievi Falcone e Borsellino, sa che almeno qualcosa è cambiato.