Medio Oriente, firmata l’intesa. Trump: “Giornata storica”. Inizia ora la “Fase due”

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La fase 2 dell’accordo per Gaza è iniziata. Donald Trump lo ufficializza al summit di Sharm el-Sheikh dove sotto la regia di Usa ed Egitto una trentina di leader, soprattutto di Paesi arabi ed europei, prendono l’impegno di costruire un nuovo futuro di pace per il Medio Oriente. Intenzioni che verranno messe alla prova dei fatti sin da subito, sui primi scogli come il mantenimento della sicurezza nella Striscia, dove il presidente statunitense ha aperto a un ruolo per Hamas come forza di polizia palestinese: “Vogliono porre fine ai problemi e lo hanno detto apertamente, e abbiamo dato loro l’approvazione per un periodo di tempo”.

“È una giornata storica, la più importante per la pace nella regione degli ultimi 50 anni”, afferma Trump, con accanto il padrone di casa Abdel Fattah al-Sisi e la premier italiana Giorgia Meloni. L’intesa, costruita sotto regia Usa-Egitto, prevede ora il lancio della ricostruzione della Striscia. Al Cairo, già a novembre, un nuovo summit definirà i prossimi passi. Ma non mancano i punti critici. Trump apre a un ruolo temporaneo di Hamas come forza di polizia sul territorio: “Abbiamo dato l’approvazione per un periodo di tempo”. Un compromesso che solleva interrogativi, soprattutto dopo che i miliziani hanno ripreso a pattugliare le strade devastate. La composizione del Board di transizione resta da definire, anche se lo stesso Trump nomina l’egiziano al-Sisi come primo candidato.

Il tycoon americano allarga la visione: rilancia l’idea di un allargamento degli Accordi di Abramo e tende la mano all’Iran – che ha declinato l’invito al vertice – parlando di “futuro di cooperazione”.

L’Italia si dice pronta a rafforzare la propria presenza, anche sul piano della sicurezza: “Se arriverà una risoluzione Onu, siamo disponibili a implementare la presenza dei carabinieri”, annuncia Meloni. La Francia, per voce di Emmanuel Macron, propone una conferenza umanitaria a Parigi per sostenere l’Autorità Palestinese. Intanto resta alta la tensione diplomatica: l’assenza di Netanyahu, che ha cancellato all’ultimo il viaggio per la festività ebraica di Simchat Torah, ha evitato una crisi in extremis, dopo le minacce di abbandono del summit da parte di Turchia e Iraq.