Recuperata sul Pasubio una lapide alpina del 1917. Ciambetti: “La montagna ancora ci parla”

Dopo oltre un secolo, una lapide incisa dagli alpini della 103ª compagnia del battaglione “Monte Cervino” è stata recuperata dalle forze speciali dell’Esercito Italiano sotto la cresta dei Sogi, massiccio del Pasubio, nel comune di Vallarsa. Il manufatto, scolpito nel 1917 durante la Prima Guerra Mondiale, era precipitato in un canalone e giaceva nascosto tra le pietre e la vegetazione.
Grazie a un’operazione complessa e autorizzata dalla Soprintendenza di Trento, è stato riportato alla luce e trasportato a valle con grande cura, per essere infine destinato al Museo storico italiano della guerra di Rovereto. L’intervento ha coinvolto il plotone della 1ª compagnia “Monte Cervino”, inquadrato nel 4º reggimento alpini paracadutisti “Ranger” di Verona. Con l’ausilio di un paranco e una barella tattica, la lapide di circa 80 chilogrammi è stata sollevata e trasportata lungo un sentiero impervio per oltre quattro ore. Presenti anche Roberto Greselin, autore del libro Salvare la Memoria, e Lucia Ongaro del Mitag, testimoni di un’operazione che ha unito tecnica, passione e rispetto per un segno tangibile di quella presenza che fu baluardo di salvezza e di coraggio estremo a vantaggio delle sorti dell’Italia intera.
Commosso anche il ricordo del Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, che ha espresso profonda emozione per il recupero, definendo la lapide “una pagina viva della nostra storia”. Per Ciambetti, quel frammento inciso non è solo un reperto, ma “il segno concreto del sacrificio e della fratellanza degli alpini tra quelle rocce”. Ha lodato il lavoro delle unità militari e dei volontari, sottolineando come il gesto rafforzi il legame con le radici e i valori che hanno costruito il Veneto. Ciambetti ha anche denunciato l’incuria e gli atti vandalici che spesso colpiscono queste testimonianze, auspicando una maggiore tutela e valorizzazione. “Quelle lapidi sono la nostra storia”, ha detto, auspicando che possano restare nei luoghi originari per mantenere vivo il contatto con il passato. Il Pasubio, secondo Ciambetti, continua a parlare: ogni incisione, ogni pietra, è una voce che ci ricorda chi siamo e quanto dobbiamo a chi ha combattuto per un futuro migliore.
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