Caldo, valanghe e crolli come in Marmolada: Vielmo e Bellò rinunciano al Nanga Parbat

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Doveva essere il tredicesimo ottomila metri per Mario Vielmo e il terzo per Tarcisio Bellò, ma le condizioni della montagna himalayana, simili a quelle che hanno causato la tragedia in Marmolada domenica 3 luglio, hanno costretto gli alpinisti vicentini a dire addio al sogno di raggiungere la vetta.

Gli 8.126 metri di quota del Naga Parbat rimangono un sogno per i due esperti di montagna, che hanno scelto senza indugio di fermarsi, viste le condizioni estreme della montagna.
Il troppo caldo e lo zero termico a 6.500 metri hanno reso il canale di ascesa uno scivolo di ghiaccio vivo, “pericolosissimo per le continue scariche di sassi di ogni dimensione e a qualsiasi ora”.

Come era successo in Marmolada dove a Punta Rocca si era staccato un seracco che si è portato via la vita di undici persone, sette delle quali vicentine. Lì lo zero termico a 4.000 metri, la neve sciolta e il ghiaccio vivo. Sul Nanga Parbat condizioni ancora più estreme.
Ad annunciare lo stop della spedizione, con il tono serio ma consapevole che era l’unica cosa da fare per salvare la vita a sé stesso e agli amici, è Mario Vielmo, 57enne di Lonigo, uno dei più forti alpinisti italiani, che spiegando le ragioni della decisione di fermarsi ha voluto ricordare l’amico Paolo Dani, 52enne guida alpina di Valdagno, morto in Marmolada.

“Comunico con molto dispiacere ma con nessun rimpianto la chiusura della spedizione al Nanga Parbat – scrive mentre il gruppo si trova ancora in Himalaya – Era tutto pronto, campi montati e acclimatazione conclusa con in arrivo la finestra di tempo abbastanza buona per il tentativo di vetta fissato il 12 luglio. Purtroppo ieri abbiamo valutato la pericolosità della salita anche in base alle raccomandazioni di chi è sceso dall’ ultimo tentativo di vetta, senza successo. Ci hanno detto “Attenzione la parte bassa della Kinshofer è diventata una roulette russa”. Il troppo caldo con zero termico a 6.500 metri ha reso il canale uno scivolo di ghiaccio vivo e ora pericolosissimo per le continue scariche di sassi di ogni dimensione e a qualsiasi ora, anche di notte. Alcuni sono stati colpiti fortunatamente senza grosse conseguenze. Noi siamo dalla parte della prudenza e non della follia. La montagna ha cambiato volto, ora non vuole nessuno e noi la rispettiamo. L’incolumità prima di tutto, dei miei compagni di scalata, Tarcisio, Nicola, Ali Musa e la mia. Il Nanga Parbat rimane qui e il nostro sogno di scalarlo tornerà a casa con noi. Ora i nostri pensieri e le nostre preghiere vanno a tutte le vittime della Marmolada. All’amico Paolo Dani con il quale ho trascorso dei momenti indimenticabili durante il corso guide. Ciao caro Paolo, riposa in pace”.

La spedizione sul Nanga Parbat era iniziata ufficialmente il 7 giugno. Mario Vielmo, Tarcisio Bellè e il lombardo Niola Bonaiti avevano scelto di salire in vetta lungo la via Kinshofer, sul versante Diamir.
Il 2 luglio Vielmo ha comunicato il “tutto ok”, raccontando di avere montato il campo 2 a 6.000 metri e il campo 3 a 6.800 metri, quando avevano anche completato l’acclimatazione.
“Attendiamo una finestra di bel tempo”, aveva detto Vielmo, pochi giorni prima di dover accantonare temporaneamente il suo sogno.
Tarcisio Bellò, 60enne alpinista di Quinto Vicentino, dopo Everest e K2 voleva il suo terzo ottomila.
All’inizio della spedizione aveva raccontato di voler scalare il Nanga Parbat, dove dove nel 2019 aveva perso la vita il suo amico Daniele Nardi, anche per rendere omaggio a Karl Unterkircker scomparso nel 2008 sulla via Kinshofer durante la scalata insieme a Simon Kehrer e Walter Nones.