L’investimento non causò il decesso della 55enne trovata morta in strada due anni fa

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Nel riquadro la donna deceduta ai primi di gennaio 2019 (foto da Giornale di Vicenza). Sullo sfondo la via dove avvenne l'incidente

Il verdetto del Tribunale, a due anni dalla disgrazia di Sarego, non imputa colpe all’autista del camioncino della nettezza urbana che travolse in fase di manovra Sandra Bertola, vicentina di 55 anni che perse la vita in strada in una gelida mattina del gennaio 2019.

A uccidere la commessa impiegata nel vicino supermercato MD, in circostanze che sono state appurate in base ai rilievi di polizia locale e dai referti medici e autoptici, secondo il giudice è stato un malore fatale. La disgrazia avvenne nella frazione di Meledo, con la donna riconosciuta a distanza di alcune ore dai famigliari, essendo stata ritrovata senza documenti con sè.

Un problema al cuore – un infarto cardiocircolatorio – avrebbe colto la donna probabilmente pochi minuti o addirittura secondi prima che il conducente poi incriminato per omicidio stradale, impegnato in fase di retromarcia sul mezzo, urtasse il corpo della sfortunata donna. La commessa sarebbe stata già stesa a terra, secondo questa linea di ricostruzione dei fatti, e per questo nulla era stato rilevato dai sistemi di sicurezza del mezzo dell’azienda Ideal Service. E’ questa la spiegazione in sintesi che pone luce sui fatti della prima mattina del 10 gennaio 2019, quando poco dopo le 8 si consumò quella che rimane una disgrazia e che ha segnato una famiglia, oltre che la comunità di Sarego. A rendere noto l’esito della vicenda sul piano giudiziario è un articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza nei giorni scorsi.

Una ricostruzione meticolosa che scagiona F.C., vicentino di Lonigo, l’autista del camioncino di raccolta rifiuti rimasto sotto shock dopo aver investito la donna, e subito additato come responsabile del grave fatto, tanto da dover affrontare l’accusa – peraltro dovuta viste le circostanze – di omicidio stradale. Da cui, almeno oggi, ne esce intonso, anche se quel tragico episodio rimarrà per sempre inciso anche nella sua memoria a distanza di 25 mesi dal quel triste giorno. L’allora 38enne non si spiegava come potesse essere accaduto l’investimento, avvenuto in via Quasimodo.

Il sistema di rilevazione automatico di ostacoli in dotazione all’autocarro non avrebbe lanciato segnali acustici di allarme secondo la versione portata in campo dai difensori ed, evidentemente, supportata da prove acquisite in sede di giudizio tanto da convincere i giudici a decretare l’assoluzione del lavoratore. Al quale fu subito ritirata la patente di guida. Nemmeno dalla telecamera di controllo installata nel camioncino aveva notato la sagoma di una persona dietro il mezzo, mentre l’angolazione non avrebbe coperto il fondo stradale, rendendo impossibile vedere qualcuno accasciato a terra.

A chiudere l’indagine, in seguito, ha contribuito il referto dell’esame autoptico richiesto dalla Procura di Vicenza. Nelle carte messe a disposizione dal medico incaricato di redigere un quadro dettagliato, si sarebbero dunque rilevate le cause di morte compatibili con il decesso naturale, antecedenti all’investimento. Comunque avvenuto – questo è fuori di dubbio -, ma senza colpa di chi lo conduceva secondo l’esito giudiziale che, ad oggi almeno, scagiona l’autista leoniceno. Salvo ricorsi da parte della famiglia e l’apertura di un nuovo procedimento di revisione.