“Veleni” Pfas, uno studio mostra l’efficacia del carbone vegetale per purificare l’organismo

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Il professor Carlo Foresta dell'Università di Padova

Gli esiti di un’approfondita ricerca sull’utilizzo del carbone vegetale attivo è stata resa nota nei giorni scorsi a Padova, ma interessa da vicino migliaia di vicentini residenti in area Ovest e Sud-Ovest della provincia. Si tratta di uno studio sperimentale che dimostra – almeno per la fase in vitro – come questa metodologia e la sua applicazione nell’organismo umano, già valide in caso di avvelenamenti generici, riuscirebbe a disperdere una percentuale considerevole (il 50,3% di Pfoa, il 44,6% di Pfos) di sostanze nocive.

Il protocollo sperimentato prevede il drenaggio a livello intestinale dei PFAS, rendendoli in pratica eliminabili attraverso le feci. “Questi primi risultati concreto – ha dichiarato il prof. Carlo Foresta in sede di illustrazione – suggeriscono la possibilità di trattamento realizzabile con un semplice integratore alimentare“.

Se è incontestabile ormai come l’inquinamento ambientale rappresenti un problema diffuso a livello globale, il caso dei perfluoroalchilici (PFAS) ha acquisito estrema rilevanza soprattutto nel territorio Veneto nell’ultimo decennio. “Le manifestazioni cliniche associate all’inquinamento da Pfas sono certamente evidenti nelle popolazioni più esposte – spiega il professor Foresta – ma è interessante considerare che anche i bassi livelli di queste sostanze possono costituire fattore di rischio“. Su queste premesse, sono state proposte varie iniziative per la riduzione delle concentrazioni di questi agenti inquinanti persistenti dall’ambiente e in particolare si è rivelato efficace l’utilizzo di filtri al carbone attivo per la purificazione delle acque ad uso umano nell’area rossa a massimo inquinamento da PFAS. Ma è rimasta tuttavia inalterata la difficoltà di intervenire sull’uomo per eliminare queste sostanze che hanno un tempo di eliminazione fino a dieci anni.

Per risolvere la questione dell’eliminazione dei Pfas dal corpo umano si è attivato il gruppo di studio del professor Carlo Foresta. Le ricerche condotte dalla sua equipe e svolte presso l’unità di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell’Università di Padova, diretta dal professor Alberto Ferlin, hanno permesso di identificare possibili forme di intervento basandosi sulle dinamiche di bioaccumulo di queste sostanze nell’uomo. Da un’intuizione sperimentale ispirata all’attuale tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi, è stato individuato un corrispettivo terapeutico nel carbone attivo vegetale ad uso umano. Il carbone attivo vegetale è una sostanza naturale in grado di trattenere al suo interno molte molecole, grazie alla sua estesa area superficiale interna che può raggiungere migliaia di metri quadri per grammo di sostanza in polvere. Il carbone attivo vegetale trova impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari, nonché per il meteorismo intestinale.

La “mappa” delle zone più colpite dall’inquinamento da Pfas nella cosiddetta area rossa
Una sperimentazione in vitro per verificare la validità teorica dell’ipotesi di trattamento è stata quindi condotta presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, con la collaborazione dei dottori Luca De Toni e Andrea Di Nisio. In un modello di soluzione fisiologica, avente una composizione simile al sangue umano, sono stati disciolti PFOA e PFOS, i due principali PFAS presenti nel sangue dei soggetti esposti. L’incubazione con carbone attivo vegetale si è dimostrata in grado di rimuovere rispettivamente il 50,3% e il 44,6% degli inquinanti.

“La traduzione pratica di questi esperimenti nell’uomo sarebbe quindi possibile trattamento per alcune settimane con un integratore alimentare a base di carbone attivo vegetale che, a seguito di un opportuno dosaggio e frequenza giornaliera di assunzione, si ritiene sia in grado di ridurre considerevolmente i livelli di PFAS nel sangue favorendone l’eliminazione attraverso le feci”, conclude il professor Foresta. “Questi risultati preliminari stimolerebbero la verifica clinica di questa ipotesi, rappresentando una possibilità di intervento rapido e non invasivo, per la riduzione dei PFAS dal sangue dei soggetti esposti all’inquinamento da queste sostanze”.