Altri due cuccioli di capriolo vittime dello sfalcio d’erba. “Basta indifferenza, servono i droni”


Si tratterebbe di due fratellini, di appena tre o quattro settimane di vita, che si trovavano a qualche decina di metri l’uno dall’altro, fin quando una motofalciatrice li ha sorpresi e feriti, mentre si nascondevano impauriti nell’erba, in attesa della madre. Piccoli di capriolo, di cui uno non è sopravvissuto alle lesioni profonde subite due giorni fa sull’Altopiano, mentre l’altro viene accudito e curato in una clinica veterinaria di Thiene nella speranza che possa salvarsi, nonostante l’amputazione di una zampa.
Questi cuccioli selvatici rinvenuti sull’Altopiano di Asiago, dal tipico manto “a pois” bianchi sul pelo, avrebbero apparentemente meno di un mese di vita. Purtroppo per loro e per chi ha sempre a cuore le sorti di una specie che popola tanto la pianura quanto la collina e la montagna veneta, oggi costituiscono le ennesime vittime innocenti delle affilate lame montate sui macchinari agricoli utilizzati per il taglio dell’erba alta.
Coltelli che, spesso, non lasciano alcuna possibilità di scampo da un truce destino se a prevalere è il terrore che li immobilizza, accovacciandosi nell’erba, rispetto al tentativo di trovare una via di fuga: ogni anno, sono pratiche che mietono decine di animali morti tra i caprioletti che nascono nelle campagne e nelle montagne del Vicentino. “È evidente – spiega il veterinario che li ha presi in carico mercoledì – come l’istinto di acquattarsi tra l’erba alta piuttosto che la fuga di fronte ad un pericolo permane anche oltre le primissime settimane di vita”. Non basta, quindi, far rumore per allontanarli e salvarli, visto che il loro istinto di fuggire è latente, non ancora sviluppato.
Non solo caprioli in tenera età, anche altri animali selvatici il cui habitat spazia tra boschi e radure, pur rappresentando essi stessi il nocciolo del problema nella fascia pedemontana e montana vicentina. Questo perché la stagione primaverile degli sfalci dei prati e di alcuni tipi di colture corrisponde a quella della loro venuta al mondo. E, troppo spesso, seguita da una morte cruenta che sopraggiunge nei primi giorni. Le immagini postate e una clip video dei piccoli dal veterinario Massimo Nicolussi, da tempo in prima linea a denunciare la strage che ogni anno spazza tra sofferenze indicibili decine di cuccioli inermi, non sono adatte alla visione di chi è impressionabile. Ci limitiamo a pubblicarne solo alcune, tra le meno “forti”, per non urtare la sensibilità del lettore medio. E nella speranze di poter rivedere in posizione eretta – e in buona salute – in futuro il fratellino sopravvissuto.
Oltre alla denuncia, anche qui l’ennesima, di un problema irrisolto, e alle cure che Nicolussi presta, da parte del medico veterinario residente a Schio non mancano delle proposte per cercare di limitare i danni. E salvare più vite possibili attingendo a un dispositivo ad alta tecnologia ma dai costi non così fuori dal mondo come si potrebbe pensare. Un drone con termocamera di rilevazione potrebbe rappresentare se non una soluzione, almeno uno strumento utile. Pratiche simili sono già state sperimentate con successo in Alto Adige, a Bressanone. “L’uso dei droni dovrebbe essere obbligatorio – scrive il medico -, stabilito da ordinanze comunali che nel periodo dei parti dei caprioli dai primi di aprile fino a fine giugno prevedano l’uscita di uno o più tecnici addetti che dovrebbero perlustrare i campi da sfalciare, con la collaborazione degli agenti della Polizia Provinciale. Scelte di questo genere porterebbero anche beneficio ad amministrazione che investissero in questa direzione”.
Un’idea sicuramente “centrata” rispetto al problema, ma non certo di facile attuazione, sia sul piano pratico che economico, per i costi da sobbarcarsi da parte dei proprietari dei fondi. Sull’altro piatto della bilancia, però, sussiste la tutela dell’esistenza dei cuccioli trucidati dalle lame, di fatto uccisi indirettamente da mano umana, per quanto il più delle volte mano inconsapevole. “La richiesta dell’uscita di un tecnico incaricato – dice Nicolussi – andrebbe fatta dagli stessi contadini che si mettono in lista, mentre il compenso dovrebbe far parte del bilancio di ogni Comune. Altre difficoltà? È vero che il funzionamento di una termocamera richiede temperature ambientali abbastanza basse per riuscire a rilevare facilmente il calore di un corpicino di un chilogrammo o poco più nascosto tra l’erba alta. Ma basterebbe intervenire in determinati orari: questa escursione termica è più facile ci sia già al tramonto nei prati di montagna, in pianura per raggiungere il massimo risultato basta uscire nelle ore più fredde, quindi verso le 4 del mattino. Ma qualcosa dobbiamo pur fare, ci si deve muovere! Non possiamo rimanere indifferenti“.
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