Arte e dintorni – “La caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos” alle Galleria d’Italia
“Sferra Michele le sue schiere armate sopra il drago e gli angeli seguaci che osano mostrar le fronti imperturbate”. (Apocalisse di Giovanni): la citazione ci introduce alla bella mostra “La caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos”, a cura di Monica De Vincenti e Fernando Mazzocca che fino al 9 febbraio 2025 è aperta alle Gallerie d’Italia di Vicenza.
L’esposizione, con oltre 40 opere provenienti da importanti musei nazionali e internazionali, è la prima dedicata a Francesco Bertos, uno degli artisti più misteriosi, originali e celebrati nella Serenissima della prima metà del Settecento.
La mostra celebra la nuova attribuzione a Francesco Bertos del capolavoro ospitato stabilmente alle Gallerie d’Italia, La caduta degli angeli ribelli, tradizionalmente assegnato ad Agostino Fasolato, che gli studi aggiornati hanno ridefinito come uno scultore privo della genialità necessaria per produrre un tale capolavoro.
Se oggi Francesco Bertos è pressoché sconosciuto al grande pubblico, quand’era in vita era idolatrato dai più facoltosi collezionisti del primo Settecento. Possiamo conoscere questi mecenati grazie agli imponenti ritratti da parata ci accolgono nella prima sala della mostra: la famiglia Pisani, i Savoia e il maresciallo Matthias von der Schulenburg rappresentano l’élite culturale del tempo.
Con composizioni virtuosistiche che volevano superare i limiti imposti dal marmo e dal bronzo, Bertos dà vita a un nuovo genere di sculture da galleria, ideali per ornare le sale di rappresentanza delle dimore aristocratiche, arredate con oggetti eccentrici e originali. Una sala è dedicata alla definizione della prima formazione dell’artista all’interno dell’ambiente veneto, presso lo scultore Giovanni Bonazza, artista che forse instilla nell’allievo il gusto per la vena bizzarra e grottesca. Le sue prime composizioni sono gruppi come le Quattro stagioni e/o i Quattro elementi, in linea con i gusti del secolo.
Il suo percorso artistico si approfondisce nella sala che illustra il suo periodo fiorentino, nel primo decennio del Settecento. Alla corte medicea del Gran Principe Ferdinando – patrono delle arti – Francesco Bertos si confronta con le opere dell’artista granducale Giovanni Battista Foggini non tralasciando lo studio delle opere del celebre scultore fiammingo manierista Giambologna, artista che in mostra è presente con una riproduzione del celebre “Ratto a due figure”.
Le sculture sono realizzate partendo dai programmi iconografici che venivano stilati dai letterati di corte, i quali mettendo insieme fonti letterarie antiche e contemporanee, davano sfoggio della loro alta erudizione e sfidavano lo scultore a realizzare questi intricati racconti. Con il procedere della fama e della maturità, i temi che vengono proposti a Francesco Bertos vedono il moltiplicarsi di figure allegoriche, ma lo scultore vince queste sfide con l’alleggerimento delle costruzioni fino a farle lievitare.
I collezionisti lo corteggiano per avere un’opera e spendono vere e proprie fortune per questi capricci. Solo in privato, nelle lettere agli amici, confessano, come fossero peccati, queste loro brame.
Come un giocoliere con la materia e un funambolo del pensiero, Bertos comprende che l’arditezza delle sue opere è la cifra per la quale diventerà famoso. In gara contro la gravità, crea composizioni create da unico blocco, sempre più complesse senza “puntelli” o sostegni, nemmeno nascosti.
Realizza una costruzione formata da figure protese e mosse da una energia centrifuga che si autosostengono, in nome di un principio di solidarietà tra tutti i componenti del gruppo, in cui ogni personaggio è parte del discorso allegorico o mitologico e parte dello scheletro funzionale all’organismo della composizione.
La mostra indaga anche un legame tra le sculture di Bertos e le ariose composizioni della pittura rococò. Una selezione di dipinti – di autori quali Giovanni Antonio Fumiani, Antonio Bellucci, Sebastiano Ricci, Giovanni Battista Pittoni, Giovanni Antonio Guardi e Giambattista Tiepolo – aiuta a ricreare l’universo figurativo in cui si mosse l’estroso scultore. Morto in circostanze misteriose a Torino nel 1739, Francesco Bertos viene presto dimenticato nella storia dell’arte per l’avanzata del gusto neoclassicista.
Il capolavoro La Caduta degli angeli ribelli è esposto in una sala buia al centro di un gioco suggestivo di luci che ne esalta l’eccentrica bellezza. Ispirata al passo dell’Apocalisse di Giovanni e al Paradiso perduto di John Milton, l’opera è ricavata da un unico blocco di marmo di Carrara, composto da circa 60 figure perfettamente rifinite in ogni dettaglio. In un turbine spiraliforme, rappresenta il combattimento celeste tra l’esercito del Bene e quello del Male, comandati dall’Arcangelo Michele in alto e da Satana, protervo e superbo, in basso. Commissionata dai nobili Trento per la galleria del proprio palazzo padovano, la fama della scultura aumentò quando nell’Ottocento passò nei patrimoni della nobile famiglia Papafava. Nei secoli questa spettacolare statua ha riscosso numerose lodi illustri: ha ricevuto l’ammirazione di Antonio Canova, l’attenzione del conte Leopoldo Cicognara, l’analisi del teologo Antonio Rosmini e l’apprezzamento di Hermann Melville, che gli dedicò nel 1858 una conferenza a Cincinnati.
Nell’ambito della mostra è in programma un ricco palinsesto di attività #Inside con approfondimenti storico-artistici e incontri di musica, teatro, cinema e letteratura. Per i visitatori sono previsti itinerari tematici, visite guidate e family lab, anche nei weekend. Per le scuole proseguono le iniziative didattiche con laboratori creativi.
Tutte le info sul sito della mostra “La caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos”.