La bellezza dei risvegli nevosi

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Mi strofino gli occhi con le mani e con quest’ultimi ancora socchiusi e dormienti, cerco di leggere il numero che segna il display del cellulare. 8.35. Avrei giurato fosse molto più presto, dato il silenzio che sento, o meglio, data la mancanza di rumore che noto. Niente auto che sfrecciano, niente uccellini e galli che ricordano la loro presenza, niente trapani o macchinari vari provenienti dalla casa in costruzione, ma soprattutto nessun movimento dal piano di sopra, da casa dei miei. Strano, “forse oggi il mondo ha più sonno di me” penso. Mi alzo; babbucce calde ai piedi, di quelle col pelo all’interno che trattiene calore (io se ho freddo non mi muovo. Quindi prevengo con piccoli accorgimenti), felpa e via, dopo la tappa bagno inizio con la solita routine. Accendo la stufa (perché non si può programmare la sua accensione?? Me lo chiedo ogni mattina!), preparo il caffè, prendo una sigaretta dalla borsa e a caffè pronto, ne verso un po’ nella mia tazza rossa destinata al periodo di feste natalizie, infilo la giacca ed esco in terrazzo. Per poco non faccio cadere caffè e tazzina compresa. Spalanco gli occhi, li strofino di nuovo, mi faccio qualche domanda del tipo “ma stai ancora dormendo? Ma che giorno/ora/anno è? In che paese siamo?” domande tipiche per aiutarmi a scartare l’opzione “sto ancora sognando”. Ma no, non è un sogno, soprattutto visto che la tazzina inizia a scottare un po’ troppo. Quindi è vero! Ecco spiegato il perché del mondo dormiente. Ha e sta nevicando!! Il bianco è il colore che sovrasta, che spicca tenue e innocente e maestoso. Un soffice zucchero bianco è sceso lento dal cielo e si è posato su qualsiasi superficie a disposizione. Sento che mi sto per commuovere. I ricordi legati alla neve sono talmente tanti e talmente belli e carichi di emozioni… non mi devo sforzare per richiamarne alla mente.

Ricordo che durante l’infanzia a scuola non facevo che fissare dalla finestra aspettando e fantasticando sul momento in cui avrei infilato stivali, guanti e berretto e coi miei fratelli sarei uscita a fare pupazzi di neve in giardino o lotta a colpi di freddo ghiaccio.  Ricordo che un giorno, con l’occhio vigile di mamma che mi seguiva dalla finestra, mi addentrai a piedi nudi sulla neve. Li avevo coperti solo con un sacchetto di nylon per evitare si bagnassero troppo. Che figlia pazza hai, mamma!

Un freddo pomeriggio invece, ero come di consueto a casa di nonna perché i miei erano al lavoro e io, piccola peste curiosa, avevo convinto nonna a farmi uscire a giocare in giardino, dicendole però che dovevo fare una ricerca per la scuola e raccogliere foglie ghiacciate per poi disegnarle. Ci ha creduto, o forse no ma ha reputato non pericoloso che la sua bambina giocasse un po’ all’aria fresca ed esplorasse lo strano mondo dipinto di bianco. Non ricordo esattamente cosa feci fuori, ma ricordo che entrai in cucina ghiacciata e senza chiedere consiglio a nonna che stava preparando la cena, infilai le mani sotto l’acqua calda. L’avessi mai fatto…iniziai a piangere disperata in preda a lancinanti dolori alle mani, piccole e infinite pugnalate alle dita dovute dallo sbalzo termico. E nonna, ricordo, non si mise a ridere. Mi prese le mani e le nascose dentro uno strofinaccio, e asciugandole delicatamente mi rassicurava e ricordava di portare pazienza e distogliere il pensiero perché presto sarebbe passato tutto. Mi manchi, dolce nonna.

Ho un ricordo sfocato di un anno in cui, la sera della vigilia di natale, dopo la messa, mio padre ci accompagnò a casa e visto che stava nevicando da qualche ora, decise di addentrarsi per le strade senza meta, solo per vivere e assorbire la neve. Lui adora guidare con la neve, e quel giorno ci propose di fargli compagnia. Noi tre figli, infreddoliti e desiderosi di cioccolata calda e divano con film natalizio annesso, denigrammo l’invito senza pensarci più di tanto. Ecco… papà, chiedimelo di nuovo. Stavolta ti dico di sì.

Mia mamma invece, quando nevicava, era la donna “sorpresa da assonnata”. Si avvicinava piano piano al letto, sussurrava “sveglia tesoro, c’è una sorpresa per te” e poi alzava le saracinesche non troppo da accecarmi con la fastidiosa luce, né troppo poco da non vedere il paese innevato. E lei, col suo modo di fare pacato e dolce, somigliava alla neve. Mi svegli anche alla prossima neve, nonostante io non sia più una bambina?

Questi sono solo alcuni di una miriade di ricordi legati alla neve, e sono tutti o indici della mia pazzia, o indici del bel tempo passato con le persone che amo.

Ore 8.40. Una canzone suona all’impazzata. Sobbalzo e spengo la sveglia. A malincuore capisco che quel caffè-sigaretta nevosi sono stati solo un bel sogno. Se, come sento dire, la neve è una cosa da dimenticare perché sempre più rara, devo ammettere che la nostalgia mista all’amarezza hanno il sopravvento. Spero di rivivere l’emozione del fiocco che cade giusto sulla palpebra mentre con gli occhi al cielo si guarda affascinati quello strano evento. Voglio creare altri ricordi bianchi.