Lettera a una quindicenne che prende a pugni il suo corpo

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Cara quindicenne che non ti senti in pace con te stessa, oggi ho pensato di scriverti una lettera. Ti immagino passare le ore a chiederti se sei troppo ingombrante, o meglio troppo sbagliata. Ti immagino versare lacrime guardandoti allo specchio con i pugni stretti pronti a colpire il vetro che ti riflette. Probabilmente stai anche pensando di darli a te stessa, figurativamente o meno. Magari hai optato per entrambe le possibilità. e dopo notti passate a piangere nascosta tra le coperte e giorni passati a sorridere a tutti senza volerlo, hai deciso di prendere a “pugni il tuo corpo”.

Ecco, qui entro in scena io. in punta di piedi, solo per raccontarti un pò di quel che accade quando si sceglie di farlo. Premetto che non voglio insegnarti nulla, non sono nessuno per poterlo fare. Voglio solo darti modo di leggere un’ esperienza, leggere oltre alle tante foto che si vedono sui social che magari sfogli incantata/ossessionata e che ammiri. Immagino anche che nel guardarle tu stia malissimo e ti veda ben peggiore di come sei. E’ solo una lettera che avrei voluto poter leggere alla tua età. Forse qualcosa sarebbe cambiato, forse no. ma tentare non ha mai fatto male a nessuno. Se potessi verrei a consegnartela di persona, in una busta chiusa che profumi di sole.

Io ho scelto – senza sapere cosa stavo scegliendo – di prendere a pugni il mio corpo per parecchi anni; ho iniziato alla tua età, dopo qualche vicissitudine che mi ha fatta sentire brutta, ingombrante, sbagliata, diversa. Poi sai, in realtà a dirla tutta, ero una ragazzina un pò introversa, un pò particolare, talvolta ribelle. E questo, unito al mio vissuto e al mio “contorno”, ha trovato un rifugio comodo alle intemperie del mondo. Il modo per calmare il mio disagio, le mie difficoltà, il mio vuoto, il mio sentirmi diversa. era perdere peso. E’ iniziata con gesti piccoli ed impercettibili, ma essendo un argomento molto vasto e personale, se vorrai te ne parlerò in un’altra lettera più dettagliatamente.

Quello che per ora mi preme dirti è che quei piccoli e quasi insignificanti gesti hanno acquisito, velocemente, un valore enorme, un potere inimmaginabile, portandosi appresso altri milioni di gesti/pensieri. Io non ne ero ovviamente conscia, per me ogni azione che facevo per perdere/controllare il peso o per “prendere a pugni” il mio corpo, era fine a sé stessa: era quasi una scelta di vita o di morte, in ogni momento. Erano regolette mie, da seguire, per stare meglio. E stavo meglio, emotivamente, nel momento in cui le attuavo. Quando perdevo peso o saltavo un pasto mi sentivo più sicura di me, più forte, meno sbagliata.

Questo, di cui ti ho solo accennato, è stato l’inizio. Si sono susseguiti molti anni da quel mio inizio, e ognuno di questi anni mi ha vista ricoverata per molti mesi o chiusa in casa a costruire nuove regole ed evitare tutto e tutti. Quegli anni mi hanno vista perdere e trascurare amici; mi hanno vista chiudere relazioni con ragazzi che mi piacevano; mi hanno vista studiare in malo modo, giusto per finire gli studi; mi hanno vista mettere da parte passioni; mi hanno vista interrompere sport; mi hanno vista rinunciare ai miei sogni; mi hanno vista odiarmi; mi hanno vista chiudere il mondo – tutto – fuori dalla mia bolla di “cibo-corpo-peso-non cibo-non corpo-non peso”; mi hanno vista invecchiare perdendo molte tappe importanti della mia vita; mi hanno vista avere agende piene di appuntamenti con svariati dottori e foglietti con liste di farmaci da prendere appesi al frigo per aiutare il mio corpo ad arrivare al giorno/mese successivo; mi hanno vista vagare inconsistente per i corridoi degli ospedali con le flebo appresso; mi hanno vista pesare meno di quanto non pesassero le cartelle cliniche o le relazioni mediche che mi appartenevano; mi hanno vista in sedia a rotelle in ospedale con il dubbio di aver fatto troppi danni al mio corpo per ricominciare a camminare; mi hanno vista senza la capacità di donare qualsiasi valore a qualsivoglia cosa. Mi hanno vista svuotata. Mi hanno vista spegnermi. Mi hanno vista non capirci più nulla. Mi hanno vista non vedere nulla.

Sai, non è da molti anni che mi rendo conto di ciò che ho perso, del prezzo che ho pagato/ sto pagando e di quanto il mio corpo abbia dovuto subire in tutti questi anni. Per parecchio tempo non sono riuscita a rendermi conto di tutto ciò e vedevo la mia vita come un inferno infinito dal quale era impossibile uscire, la potevo solo “cullare” o alleggerire in quel modo. Io stessa mi vedevo un inferno. Da quando sono riuscita, con enorme fatica ed innumerevoli tentativi (te lo dico perché quando si decide di voler star meglio, non sempre è possibile ed il solo desiderio talvolta non è sufficientemente forte, non tanto quanto la malattia) a vedere qualcosa diversamente, mi si è aperto un mondo. Non è lo stesso mondo nero e cupo che avevo chiuso fuori, te lo assicuro. E non è nemmeno come lo ricordavo: è un mondo diverso. Non dico “migliore” solo perché c’è sempre qualche situazione che può coglierci impreparati e farci sentire all’inferno. Tutti, nessuno escluso.

Preferisco il termine “diverso” perché dopo tanti anni a trasformare problemi in “cibo e peso”, ora sto lavorando per recuperarli tutti, uno ad uno, dal più piccino al più ingombrante, risolvendoli in modo appunto diverso, sano, funzionale. Per riuscirci mi sto facendo aiutare tutt’oggi; quest’aiuto è arrivato fin da subito, anche quando non lo volevo affatto. Anzi, odiavo chi me ne dava sai? Perché sentivo che nessuno mi capiva. Parlavano di soluzioni, cose belle, doveri e progetti che a me non interessavano, non vedevo, non volevo, mi davano il voltastomaco, non mi appartenevano.

Ora mi ritrovo, un po’ dolorosamente e con la paura di essere fraintesa, a dirti che quelle cose “belle”, quei progetti/doveri, quelle soluzioni esistono! Magari non sono come te le descrivono gli altri, ti do ragione. E nemmeno lo devono essere. Devi trovarle tu stessa, le tue, con la forma che per te hanno, non con la forma di altri occhi. Devi trovare ciò che ti accende, non ciò che ti spegne. Ed a quello ti devi aggrappare. Non è affatto semplice, lo so. Non è una passeggiata, anzi è difficilissimo. E’ un po’ come doversi trovare la propria formula per vivere bene. E per trovarla, solitamente, si devono aver chiare tantissime cose; la si deve costruire pezzetto per pezzetto, senza spazi ai dubbi o ai “rimando a domani”.

Devi cercare aiuto e chiederlo laddove ti senti ascoltata e capita, cercando fino allo sfinimento la figura professionale che ti faccia sentire a tuo agio, accolta, a casa, protetta. Anche se quei “pugni al tuo corpo” li hai solo immaginati, fallo. Vai dai tuoi genitori o rivolgiti ad un insegnante o al tuo medico e con il loro aiuto inizia a cercare qualcuno che ti possa aiutare. Fidati di me, non ho alcun interesse a mentirti né ti sto dicendo che sei sbagliata. C’è una grande differenza, che ho capito molto tardi: chiedere aiuto serve ad aggiustare ciò che non va, non per forza a cambiare o diventare qualcun altro. Tu non devi cambiare, devi rimanere te stessa, solo con più strumenti in borsa da usare per aiutarti a combattere insicurezze, timori, malesseri, incomprensioni, episodi difficili, litigi, difficoltà. E con un posto dove poter dire liberamente che in alcuni momenti vuoi prenderti a pugni, dove puoi insomma posare la borsa e sederti al sicuro. Senza bisogno di dimostrare nulla a nessuno, se non a te stessa.

Devi, anzi vorrei, che dopo aver letto queste parole provassi ad immaginare il tuo prossimo mese/anno così come sono stati quelli che ti ho descritto io. e poi vorrei che provassi ad immaginarti camminare a testa alta con una borsa piena ma leggera; una borsa costruita interamente da te, con la quale ti senti forte e pronta ad affrontare qualsiasi cosa, persino i pugni altrui.

Ti lascio con un ricordo che per me è doloroso ma mi è rimasto talmente indelebile, nella sua semplicità, da tornarmi spesso in mente. Ero in clinica, nell’ora dedicata allo “sport”. Il mio peso troppo basso non mi consentiva la passeggiata con le altre, così mi toccò fare un esercizio un po’ diverso con altre due pazienti nella mia stessa situazione. Un po’ complesso forse da capire dall’esterno, ma te lo racconto comunque.

Ad ognuna era stato assegnato uno specchio coperto da un telo e noi ci dovevamo mettere davanti. Eravamo distanziate in modo che nessuna vedesse le altre, quindi in pratica ero io col mio riflesso. Vestita, seduta per terra, gambe incrociate. Silenzio. la dottoressa ha tolto i teli e come unico compito ci ha detto di guardarci come riuscivamo. Osservarci insomma.

Il mio sguardo scappava da un dettaglio ad un altro sullo specchio, senza mai arrivare al viso. Ci ho impiegato un’ora a darmi attenzione e toglierla ai dettagli dei vestiti che indossavo. Senza farlo per gradi, a quel punto, dal cordino della felpa mi son lanciata terrorizzata sui miei occhi: occhi negli occhi, rughe nelle rughe, stanchezza nella stanchezza, dolore nel dolore, pena nella pena, compassione nella compassione, tristezza nella tristezza. ho versato una lacrima, fissandomi negli occhi. Un record per me all’epoca, anestetizzata com’ero dai sentimenti e dalle loro dimostrazioni. E quella lacrima è stata come una pugnalata, una frattura, perché non mi sono riconosciuta, guardandomi. Guardandomi, ho visto una ragazzina in grande difficoltà e pericolo. Ma non ero io. Non potevo essere io.

Ti auguro di cuore di non provare mai una sensazione simile. Ecco perché ti scrivo questa lettera infinita, con il cuore in mano. Non è la soluzione giusta prendersi a pugni. NON PERDERTI A FARLO. CERCA LA TUA BORSA.