Dogtooth: l’essere genitori e l’essere reclusi

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A ben 11 anni dalla sua uscita in Grecia, “Kynodontas” distribuito internazionalmente con il titolo inglese “Dogtooth” (tradotto: “dente canino”), è sbarcato nelle sale italiane.

Il regista Yorgos Lanthimos si è affermato al grande pubblico, soprattutto negli ultimi anni, come autore di un certo pregio con opere quali “Il sacrificio del cervo sacro” con Colin Farrell e Nicole Kidman e il suo ultimo film “La Favorita” con il premio Oscar Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz. 

“Dogtooth” non è prettamente l’esordio di Lanthimos al cinema, ma è il film che più di tutti lo ha fatto conoscere al pubblico, con una storia tanto surreale quanto grottesca. 

Il film si ambienta nella sua quasi totalità all’interno di una grande abitazione. In essa vivono un uomo, sua moglie e i loro tre figli adulti: due femmine ed un maschio. A quest’ultimi non è mai stato concesso di uscire dai confini della proprietà, fin dalla più tenera età. Gli unici che entrano ed escono dal cancello principale sono l’uomo ed una donna che viene introdotta per soddisfare i bisogni sessuali del figlio maschio. I tre “fanciulli” sono completamente estranei al mondo esterno ed anzi i loro genitori li hanno educati ad identificare erroneamente gli oggetti più comuni con nomi di cose esterne e quindi estranee: “saliera” diventa “telefono”; “autostrada” diventa “un vento molto forte” ecc. Questo meccanismo viene attuato onde evitare che i figli si incuriosiscano o avvertano che all’esterno c’è qualcos’altro rispetto a ciò che i loro genitori gli raccontano. La storia prosegue, fino ad un tragico ed aperto epilogo. 

Lanthimos usa una messa in scena ferma e semplice che non suggerisce minimamente allo spettatore alcun tipo di emozione. Siamo liberi di osservare e di far nascere in noi ogni tipo di emozione o di pensiero. La violenza fisica, quelle poche volte che si presenta, dura poco, ma è un istante che rimane impresso, poiché inatteso e la vera crudeltà del racconto sta nel fatto che il regista usa un certo tipo di ironia che ci potrebbe far pensare tuttalpiù ad una commedia moderna, dal carattere più lieve e giocoso … Ma quando i toni si aggravano e cominciamo a vedere le nevrosi, i disturbi, i giochi malsani e pericolosi che queste persone fanno tra di loro, qualcosa immediatamente scatta, inevitabilmente. 

Lanthimos amplifica così il suo segnale che rimane però assente. Lo spettatore è in balia degli eventi che gli si parano davanti. Forse ci si può sentire spaesati o contriti di fronte ad un film che ai più potrebbe risultare “malato”. Eppure ciò che il regista mostra è una domanda terribilmente angosciante che spesso ci colpisce quando diventiamo genitori: come crescerà nostro figlio o nostra figlia? In che razza di mondo li lasceremo crescere? E forti delle nostre convinzioni, pensiamo che precludendo loro un certo numero di cose che sono nel mondo e del mondo, facciamo sì che crescano come noi desideriamo, quando in vero gli stiamo arrecando un danno inimmaginabile.   

Non è solo la formulazione di un linguaggio che noi riteniamo corretto o l’identificazione di un certo numero di cose che non vogliamo che i nostri figli vengano a conoscere, ma il fatto di rinchiudere delle persone e storpiarle a livello psicologico, sociale e quindi personale e relazionale. 

Forse non ci siamo resi conto che, dentro o fuori, il mondo poco cambia. Questo si compone di cose malsane ed orripilanti, ma anche di cose potenzialmente interessanti ed affascinanti. Sta a noi trovare la forza ed il coraggio di uscire e scoprirle.