Parasite: parassitismo sociale deleterio a senso unico

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REGIA: Bong Joon-ho ● CAST: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam, Lee Jung-eun, Chang Hyae-jin, Park Myung-hoon, Jung Ji-so, Jung Hyeon-jun, Park Keun-rok, Jung Yi-seo, Cho Jae-myung, Jeong Ik-han, Kim Gyu-baek, Ahn Seong-bong, Yoon Young-woo, Park Jae-wook, Lee Dong-yong, Jeon Eun-mi, Kim Geon, Lee Joo-hyung, Lee Ji-hye, Kim Bo-ryeong, Park Hye-sook, Baek Seung-hwan, Riccardo Ferraresso, Ko Kwan-jae, Lee Si-hoon, Seo Bok-hyeon, Shim Soo-mi, Yoon Hye-ri, Andreas Fronk, Anna Elisabeth Rihlmann, Rosie Peralta, Shin Seung-min, Park Seo-jun, Kwak Sin-ae ● GENERE: commedia, drammatico, thriller ● DURATA: 132 minuti ● DATA DI USCITA: 7 novembre 2019 (Italia)

“SONO RICCHI MA SONO GENTILI .. ” ● “SONO GENTILI PERCHÉ SONO RICCHI!”

Parasite del 2019 per la regia di Bong Joon-ho.

Bentornati alla rubrica di Cinemachine con uno dei titoli più chiacchierati e commentati sul web e dalla critica cinematografica, soprattutto dopo la sua vincita di ben due Oscar tra cui miglior regia e miglior film straniero e la Palma d’oro al Festival di Cannes che già ne aveva fatto notare il notevole pregio.

Stiamo parlando di “Parasite” per la regia di quel piccolo e strabiliante genio che è Boon Joon-ho che io in primis ho cominciato ad apprezzare diversi anni fa con pellicole meravigliose quali “Snowpiercer” (2013), “The Host” (2006) e “Memorie di un assassino” (2003), uscito recentemente anche al cinema nel nostro paese, proprio per seguire l’onda di successo di Parasite.

Che sia la volta buona che il cinema orientale, nello specifico quello coreano, sfoci definitivamente nel nostro paese, regalandoci un tipo di cinema anni luce avanti rispetto alle produzioni statunitensi? Sinceramente, ne dubito. Non solo perché il pubblico italiano sembra quasi essersi arenato nella visione dei blockbuster americani e in generale nel cinema più mainstream, anche quello di produzione nostrana, ma anche perché il corso della storia ce ne da la prova.

Negli anni Sessanta arrivò Akira Kurosawa che influenzò notevolmente il mondo del cinema, soprattutto nella persona di Sergio Leone, regalando al mondo lo spaghetti western, ma rimase comunque un cinema molto di nicchia. Negli anni Settanta arrivò Bruce Lee e il cinema di arti marziali che durò pressappoco due anni. Negli anni Ottanta venne distribuito “Storie di fantasmi cinesi” (1987) di Siu-Tung Ching che cadde però nel dimenticatoio e di fatto non sento quasi nessuno menzionarlo. Negli anni Novanta ci fu il grande successo di “La Tigre e il Dragone” di Ang Lee con ben quattro Oscar vinti, tra cui quello di miglior film straniero, ma anche quello non portò lo sfociare di cinema orientale come si sperava. Ciò che rimase negli anni Duemila furono i film nipponici di fantasmi (yūrei), di cui tutti hanno più o meno visto i remake americani, senza manco sapere che c’erano gli originali in Giappone, molto più belli delle versioni americanizzate.

Ma detto ciò torniamo a “Parasite”. Bong Joon-ho dimostra ancora una volta di saper gestire in maniera eccellente i tempi di questa meravigliosa e struggente storia, scritta e diretta dal regista stesso. Quando siamo andati al cinema a vederlo i miei amici mi hanno chiesto di che genere di film si trattasse e, lì per lì, non sapevo esattamente come definirlo, in quanto la storia di “Parasite” parte come una commedia per poi degenerare grandiosamente nel thriller-horror, regalando allo spettatore sensazioni e pensieri ben al di sopra di ogni aspettativa.

“Parasite” narra la storia dei Kim, una famiglia di poveri disoccupati che si arrangiano come possono per tirare avanti, finché un giorno al figlio di questa famiglia viene offerto di prendere il posto di un suo amico per delle ripetizioni di inglese da dare alla figlia della famiglia Park, una famiglia molto ricca. Iniziando a dare queste ripetizioni, il giovane si rende conto dell’ingenuità dei padroni di casa e comincia a portare, attraverso degli escamotage, i suoi parenti all’interno dell’abitazione, spacciandoli per persone molto competenti in diversi settori: la sorella diventa l’insegnante d’arte e la terapeuta del figlio più piccolo della famiglia, il padre diventa l’autista e la madre diventa la governante. Tutti se la rideranno e godranno della fortuna e ricchezza conquistata, fino ad un colpo di scena che non vi descriverò, perché, lo hanno detto tutti, “Parasite” è un film assolutamente da non perdere, sia per la magnifica messa in scena, sia per la profondità con cui il regista narra una condizione propriamente umana che è quella del parassitismo sociale, ovvero quella condizione per cui due specie coesistono e non possono fare a meno l’una dell’altra.

Il povero lavora per arricchirsi, il ricco fa lavorare il povero per arricchirsi ancora di più. Mettendola poi sul piano pratico, l’operaio non può fare a meno del guadagno che gli viene dato dall’imprenditore, l’imprenditore non può far a meno del lavoro dell’operaio. La stessa situazione la troviamo nello spazio della casa, dove i Kim si troveranno favorevolmente ad operare. I Park senza i Kim non riuscirebbero a tirare avanti nelle cose più comuni, come rassettare la casa e allo stesso tempo i Kim si troverebbero allo sbando senza la sicurezza datagli dalla ricchezza dei Park.

È sbagliato pensare che il rapporto che intercorre tra queste due famiglie sia asimmetrico, in quanto è vero che c’è chi inganna e chi viene ingannato, ma i Park dettano legge su ciò che i Kim devono fare e c’è un velo di umiliazione, soprattutto nel padre, durante lo svolgimento degli eventi, soprattutto per come essi vengono considerati.

Insomma Bong Joon-ho ci dice che, nella realtà dei fatti, tutti siamo dei parassiti, dal ricco al povero, e semplicemente coesistiamo, approfittando delle debolezze dell’altro e assorbendo tutto ciò che ci occorre senza pensare poi alle conseguenze. Dove il ricco si arricchisce sempre di più, il povero non potrà far altro che essere sempre più povero.

Dopodichè non è sempre vero che il povero è tale perché non ha voglia di lavorare o il ricco è ricco perché ha lavorato tanto. Spesso sono le condizioni pregresse che ci bloccano nel nostro status sociale. I Kim sono una famiglia molto intelligente e nel film ce ne accorgiamo, ma nessuno impiega questa loro intelligenza, tema che già avevo accennato in “Monsieur Verdoux” di Charlie Chaplin, perciò diventano dei parassiti. Lo stesso fanno i Park che sfruttano le competenze ed il lavoro di altre persone per evitarsi qualsiasi tipo di fatica o preoccupazione, anche quelle più importanti come l’educazione dei figli.

Infine, il regista mostra uno scenario terribile, ovvero che coloro che stanno al piano più basso della scala sociale, scoprendo tale parassitismo, usciranno dalle tenebre e ciò che succederà sarà a dir poco spiacevole.

Capolavoro o meno, di “Parasite” si potrebbe parlare per ore, ma non vi voglio annoiare, quindi vi invito caldamente di andare a recuperarlo, se ancora non lo avete visto, e speriamo che il cinema coreano sfoci finalmente anche da noi.