Reggio Emilia, si è arreso dopo oltre 7 ore ore il sequestratore alle Poste: liberi gli ostaggi

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Irruzione dei carabinieri e Francesco Amato, il condannato di Aemilia che da questa mattina teneva in ostaggio quattro persone in un ufficio postale, è stato bloccato e portato fuori. Poco prima aveva rilasciato due ostaggi.

“L’uomo si è consegnato spontaneamente alla fine della negoziazione e non ci sono stati feriti” ha detto il colonnello dei carabinieri Cristiano Desideri: “Gli abbiamo fatto capire che i sequestrati non avevano colpe. Ce l’abbiamo fatta col tempo e con la pazienza facendo leva sul suo senso di umanità. Non ha fatto del male a nessuno e neanche minacciato. Protestava contro una sentenza a suo parere ingiusta ribadendo di non essere uno ndranghetista. Voleva parlare con il ministro Salvini, ma alla fine si è accontentato di parlare con il team di negoziatori. Eravamo pronti a intervenire, grazie al cielo è bastata la persuasione”.

Amato, condannato pochi giorni fa nel maxi-processo di ‘ndrangheta “Aemilia” si era asserragliato dentro l’ufficio postale di Pieve Modolena (Reggio Emilia) con un coltello. Era entrato urlando: “vi ammazzo tutti” e poi aveva fatto uscire i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. L’uomo aveva chiesto di parlare con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l’ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla “‘ndrangheta imprenditrice”.

Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato a 19 anni e un mese di reclusione con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era “costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati”.