Cop25: la conferenza sul clima di Madrid fa flop: rimandato il nodo emissioni

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Si chiude senza fumata bianca e dopo una drammatica sessione plenaria la Conferenza sul clima di Madrid. Un epilogo inglorioso quello del vertice Cop più lungo di sempre. Nonostante l’allarme reiterato degli scienziati, il pressing degli ambientalisti e gli appelli dei movimenti di piazza nulla è riuscito a smuovere dalla propria posizione quegli stati che non sembrano intenzionati ad accelerare sul fronte del taglio delle emissioni, né ad allargare i cordoni della borsa quando si parla di finanziamenti ai paesi più vulnerabili.

La Conferenza si chiude dunque con un’intesa vaga in cui si esprime “la necessità urgente” di ridurre le emissioni climalteranti, un’esortazione ben lontana dall’impegno preciso e dettagliato che ci si aspettava dai delegati.

Il nodo irrisolto è quello relativo all’articolo 6 degli Accordi di Parigi, che riguarda il così detto carbon market, il sistema che prevede – tra l’altro – la possibilità di finanziare il taglio delle emissioni in un altro paese conteggiandolo nel proprio. A dividere, in questo caso, sono state le regole di applicazione e in particolare la controversa possibilità di un doppio conteggio. Di fronte all’impossibilità di raggiungere un accordo, la Cop25 si è arresa, rimandando qualsiasi decisione al vertice previsto a Bonn il prossimo giugno.  

“Non siamo riusciti a trovare un consenso” ha confessato la ministra cilena dell’Ambiente Cristina Schmidt che ha presieduto la Cop25. “Ma abbiamo fatto progressi e imparato molto gli uni dagli altri. Ci sarà utile per raggiungere un accordo sull’articolo 6 entro l’anno prossimo”.

Sul banco degli imputati, tra gli altri, ci finiscono il Brasile e l’Australia che vogliono poter gestire in “autonomia” il loro immenso patrimonio (in termini di assorbimento di CO2) forestale. Pochi progressi anche sul loss and damage, quei meccanismi finanziari che dovrebbero aiutare i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico, che rischiano di finire sommersi per l’innalzamento dei mari o devastati dalla siccità. Durissimo l’intervento del rappresentate di Tuvalu: “C’è una nazione che si è schierata contro queste misure pur avendo deciso di uscire dagli Accordi di Parigi”. Chiarissimo il riferimento agli Stati Uniti di Donald Trump. “Negare che ci siano Paesi che stanno già soffrendo per l’emergenza climatica può essere considerato un crimine contro l’umanità”, ha continuato il diplomatico dell’isola del Pacifico.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto “deluso” dall’esito della Cop25:. “Un’occasione persa”, l’ha definita il capo delle Nazioni unite. Hanno reagito con prevedibile disappunto anche i movimenti ispirati dall’attivista svedese Greta Thunberg che ha twittato  “La scienza è chiara, ma la si sta ignorando. Qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai”. Tutt’altro che soddisfatte anche le associazioni ambientaliste internazionali. Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace, parla di accordo “totalmente inaccettabile”, notando come unica nota positiva il rafforzamento e la grinta della High Ambition Coalition e degli Stati insulari, particolarmente esposti alle conseguenze del surriscaldamento. Vanessa Perez-Cirera, capo delegazione del Wwf, sottolinea amaramente come quella che era stata definita la “Cop dell’ambizione” non sia stata “all’altezza delle aspettative della società civile e delle comunità vulnerabili, oltre che della speranza di milioni di persone per un mondo in cui possiamo vivere meglio”.

Ma un piccolissimo segnale positivo, forse, c’è: la decisione finale prevede un innalzamento dei target di taglio alle emissioni di ogni singola nazione rispetto agli obiettivi attuali anche se pochi hanno preso impegno concreti nel corso di questa Cop25. Ma anche in questo caso, tutto rinviato al 2020, ultimo anno utile per rendere operativi gli Accordi di Parigi e prendere impegni vincolanti sui tagli alle emissioni in modo che il riscaldamento della Terra non superi gli 1,5 gradi in più rispetto all’era pre-industriale. Ma se anche alla Cop26 di Glasgow del prossimo si arriverà senza una solida leadership politica capace di indicare la strada allora davvero non ci sarà più tempo.