Georgia: dopo le proteste il Parlamento ritira la legge sugli ‘agenti stranieri’

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Dopo le violente proteste di questi giorni, il Parlamento della Georgia ha revocato la controversa legge sugli ‘agenti stranieri’. Ad annunciarlo è stato ‘Sogno Georgiano’ il partito di maggioranza assoluta in Parlamento: “da partito responsabile di governo abbiamo preso la decisione di ritirare senza condizioni la proposta di legge che avevamo sostenuto”. Sulla stessa linea anche anche il secondo partito della maggioranza ‘Potere al Popolo’ entrambi gli schieramenti hanno comunque ribadito di “sostenere la proposta senza alcuna riserva”.

Entrambi i partiti hanno quindi fatto sapere che “una volta placatasi la reazione emotiva” verrà spiegato “meglio al pubblico a cosa sarebbe servito il disegno di legge e perché era importante garantire la trasparenza dell’influenza straniera nel Paese”. “Per fare questo, – aggiungono – avvieremo incontri con la popolazione e faremo conoscere al grande pubblico la verità su ogni dettaglio della questione”.

Il bilancio degli scontri. Nei tafferugli dopo due giorni di proteste sono stati arrestate 133 persone, mentre decine di agenti e civili sono rimasti feriti. I manifestanti temevano che la legge costituisse un bavaglio alla libertà di stampa e che favorisse una svolta autoritaria simile a quella portata avanti dal presidente Vladimir Putin in Russia, tanto che uno dei principali slogan della protesta era “No alla legge russa”.

In cosa consiste la proposta di legge contestata. In sostanza se la legge fosse entrata in vigore i media e le ong che ricevono almeno il 20 per cento dei propri fondi dall’estero avrebbero dovuto registrarsi come “agenti stranieri”, costretti a pagare grosse multe in caso di mancata iscrizione. Secondo i manifestanti e molti commentatori, la proposta ricordava molto da vicino una una legge in vigore dal 2012 in Russia, utilizzata da Mosca per reprimere dissidenti e media indipendenti.

Le critiche internazionali. Il disegno di legge era stato aspramente criticato anche da una gran parte della comunità internazionale, a partire da Unione europea e Stati Uniti, che avevano descritto il documento come un passo indietro nel cammino di sviluppo degli standard democratici in Georgia.