Arouna, dalle violenze in Libia al servizio civile a Vicenza

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Arouna Camara (primo a sinistra) quando era ospite dell'appartamento messo a disposizione dal Vescovo

Oggi è la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Si ricorda il 3 ottobre 2013, quando un’imbarcazione carica di migranti in maggioranza eritrei affondò a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, causando la morte di 368 persone tra bambini, donne e uomini. Il 16 marzo 2016 il Senato italiano ha approvato in via definitiva la legge che istituisce la Giornata della Memoria e dell’accoglienza, da celebrarsi il 3 ottobre. Durante questo giorno si ricordano tutti i migranti morti nel tentativo di fuggire da persecuzioni, guerre e povertà. Dal 2014 più di 10 mila persone sono morte attraversando il Mediterraneo, fra di loro anche molte donne e bambini. 

Noi de L’Eco ricordiamo questa Giornata Nazionale facendovi conoscere – come ormai sapete ci piace fare – una storia vicentina: quella di Arouna Camara, un ragazzo di 21 anni del Mali che vive a Vicenza.

Lasciamo che sia lui stesso a raccontarla. Eccola.

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Il mio Paese è il Mali; che significa in bambarà, che è la mia lingua, ippopotamo. La capitale del Mali è Bamako che vuol dire “spalla di coccodrillo”. Il Mali è molto diverso dall’Italia; nella mia terra ci sono molti animali come il leone, il coccodrillo, il cammello, l’elefante e molti altri, nel Nord del Mali c’è il deserto dove c’è ancora la guerra. Nel Mali io facevo il muratore con mio padre da quando ero piccolo; poi mio padre nel 2012 , quando avevo 17 anni, è morto in un incidente. Io sono il fratello maggiore e sono dovuto partire dalla mia casa perché non avevo più un lavoro e senza lavoro non c’è un futuro per me e per la mia famiglia. In Mali mi aspettano mia madre, i mie due fratelli e le mie due sorelle.

Dal Mali sono andato in Niger in pullman, ho viaggiato per due o tre giorni, non ricordo bene. Per potermi pagare il viaggio verso la Libia ho lavorato per un camionista, scrivevo i nomi delle merci che caricava. Lui poi mi ha portato in Libia, abbiamo attraversato per quattro lunghi giorni il deserto. Il viaggio è stato duro, non avevamo molta acqua né cibo; durante il giorno c’era molto caldo e di notte molto freddo, inoltre il vento era sempre forte.

Una volta arrivato in Libia ho lavorato come pastore, guardavo le mucche di un uomo. Questo lavoro mi piaceva, mi piacciono molto le mucche e gli animali in generale (non quelli pericolosi però!). Il mio padrone lavorava per il governo, era del partito di Gheddafi. Quando ero arrivato io la guerra era in un momento di calma, ma poi ci sono stati nuovi casini e il mio padrone è dovuto andare via con la sua famiglia, perché loro, quelli dell’Isis, prendevano tutti quelli del governo e li uccidevano senza farsi tanti problemi, grandi e piccoli, mettendo le bombe nelle loro case. Io stavo dando da mangiare alle mucche: quando sono rientrato in casa per prendere il nuovo mangime ho trovato le persone in casa che mi hanno preso e mi hanno tenuto per tre mesi in prigione a Tripoli.

In prigione c’erano tante persone che venivano da molti paesi dell’Africa, dal Gambia dal Mali, come me, dall’Algeria, dal Sudan, dall’Eritrea e molti altri ancora. Era difficile stare in così tanti nella prigione. Hanno obbligato i ragazzi che erano in prigione con me a caricare le bombe nei camion per fare la loro guerra. Quelli che sono andati a caricare le bombe, dopo il caricamento li hanno liberati. Tanti di loro però sono morti facendo questo perché c’erano esplosioni. Quelli, come me, che invece si sono rifiutati di caricare le bombe sono stati messi nei camion che andavano verso il mare. Ci hanno lasciato di notte sulla spiaggia con dei piccoli gommoni; avevano i fucili con loro, hanno detto che se non fossimo partiti ci avrebbero uccisi tutti.

C’erano tra di noi alcune persone che, venendo da paesi come il Gambia o Senegal dove c’è il mare, sapevano un po’ guidare la barca e ci hanno guidato. Abbiamo viaggiato per molto tempo in mare, non riesco a ricordare quanto…

Poi siamo arrivati in Sicilia, era il 5 ottobre 2014, là ci aspettavano degli italiani o europei non so, che ci hanno preso in una grande barca, hanno controllato che nessuno di noi avesse armi, nessuno di noi ne aveva. Hanno controllato la nostra salute, infatti c’erano alcuni di noi che avevano delle malattie, perché in prigione non c’era una buona aria. Nel porto siamo rimasti 6 o 8 ore senza sapere nulla, lì ho conosciuto altri maliani; poi ci hanno fatti salire direttamente in un pullman senza dirci dove ci avrebbero mandato. Una volta scesi, dopo due giorni di viaggio più o meno, c’era scritto Hotel Sorgenti, eravamo a Bolzano Vicentino. Ero stanco morto. Per me era tutto nuovo e parlavo solo bambarà e francese. A Bolzano siamo rimasti per due settimane, dopo siamo stati trasferiti a Vicenza, vicino all’ospedale con la Cooperativa ConTe per cinque mesi, con loro ho cominciato a frequentare i corsi di italiano a scuola; poi siamo stati trasferiti a Lonigo con la cooperativa Il Mondo nella città e con loro io e i miei amici siamo rimasti per tre mesi, anche da loro andavo a scuola per due volte a settimana. A maggio 2015  siamo arrivati a Vicenza, ospiti di un appartamento del Vescovo e a settembre dell’anno scorso ho iniziato a frequentare la terza media, perché il mio italiano era buono.

Da settembre a dicembre dell’anno scorso al mattino frequentavo la scuola e al pomeriggio facevo il volontario per il Comune di Vicenza, aiutavo a pulire le strade del centro; questo lavoro mi piaceva, ma Vicenza è una città in cui le persone odiano gli stranieri. Per strada infatti molte persone ci guardavano e non sembravano felici che noi facessimo questo lavoro; sentivo che tra di loro dicevano che non capivano perché il Comune ha dato il lavoro a noi e non agli italiani senza lavoro, ma per noi questo era solo volontariato. Questo volontariato io l’ho fatto per ringraziare questo Paese, perché ci ospitate in una casa, ci date da mangiare e dei vestiti.

Io comunque sono felice di essere qui con i volontari che mi aiutano a fare i compiti, però non conosco molte altre persone italiane. In Italia mi sembra più difficile conoscere le persone; in Mali infatti se ci si incontra al parco o per strada ci si saluta e si parla così ci si conosce, ma qui è più difficile. Io vado a correre al Parco Querini, ma lì se uno non ti conosce non ti parla, così per me è difficile conoscere persone nuove. Però spero di conoscerne in futuro, perché sono fortunato e lo Stato Italiano mi ha dato protezione umanitaria, ho ottenuto il permesso di soggiorno. Ora sono ospite di una famiglia e ho iniziato un anno di servizio civile, ma spero di studiare alla scuola superiore, se avrò un lavoro per pagarmi i libri e il resto. Inchallah.

Grazie per aver ascoltato la mia storia.

Arouna Camara