Migranti e accoglienza nell’Alto Vicentino, don Facco: “La politica non aiuta”

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

“Se tutti i comuni attivassero il SAI oggi non avremmo queste criticità e non saremmo costretti a parlare di emergenza”. Non ha dubbi Don Luca Facco, vicario episcopale per i rapporti con le istituzioni e il territorio della Diocesi di Padova da fine 2020, interpellato dopo le ultime riunioni volute dal Prefetto di Vicenza per coordinare l’accoglienza dei migranti e dopo le voci che si sono susseguite in vari paesi dell’Alto Vicentino fra cui Cogollo del Cengio, possibile destinazione di alcuni di essi.

Una questione che riguarda tutta Italia, Veneto compreso, dove secondo le stime del Ministero degli Interni dovrebbero arrivare oltre 4mila persone delle quali almeno un migliaio destinate al vicentino: una provincia divisa quella berica, tra solidarietà e scetticismo e qualche nota di insofferenza. Abbiamo interpellato al riguardo il prelato già responsabile Caritas nel decennio dal 2010 al 2020, figura descritta dal vescovo Mons. Claudio Cipolla che lo chiamò a quell’ufficio come dotata di grande sensibilità oltre che di una concreta competenza.

Don Luca, siamo ancora una volta a gestire una fase ‘acuta’ della questione migranti: gli sbarchi continuano incessanti e con questi la paura. Cosa ne pensa? 
Vede, più ancora dell’emergenza, il problema è la politica. Le leggi e le varie normative sono di fatto un impedimento ad una buona gestione di un problema che purtroppo esiste e che non è solo quello dei migranti che scappano, ma le condizioni di questi paesi che decine di migliaia di persone sono costretti ad abbandonare senza che si faccia nulla. E sottolineo costretti, perchè al contrario di qualche luogo comune, questa gente è smarrita e dilaniata nell’animo per il fatto di dover lasciare la propria terra.

Può farci capire dove suo avviso la politica è più ‘manchevole’? 
Senza voler puntare il dito, un esempio concreto. Con il decreto Cutro pone un grosso limite all’integrazione: si pensi all’ostacolo della lingua italiana che non viene più insegnata. Come possono queste persone interagire con noi, come possiamo pensare ad un loro inserimento attivo nella società e nel mondo del lavoro? E’ quindi comprensibile lo scetticismo di chi vede queste persone, spesso giovani, attendere inattive il passare dei giorni: una cosa che frustra in primis loro stessi ma, bene che si sappia, non una loro scelta.

Il caso ‘Cogollo’ ha un po’ agitato la popolazione. La classica situazione del paesino tranquillo dove si teme che l’arrivo dei profughi diventi motivo di turbamento. Mi spiega come vengono gestiti casi come questi?
Iniziamo col precisare che la Diocesi, come alti enti, non è che uno degli attori coinvolti direttamente dalla Prefettura che avverte della necessità di gestire un’accoglienza, su indicazione ricevuta a sua volta dal Ministero. E noi accogliamo senza dubbio alcuno e ci proviamo con il massimo del nostro impegno e delle nostre capacità: l’iter è sempre condiviso, altro aspetto fondamentale, nulla viene calato sul territorio prima di un ampio confronto con le parrocchie e le municipalità interessate. Si ascolta, si pondera e poi si decide: su Cogollo c’è stato un primo contatto, vedremo gli sviluppi anche in base al bisogno. Ma mi sento di rassicurare: le cose vengono fatte con criterio, nell’interesse di tutti. E, soprattutto, sperando di contare sulla collaborazione di tutti.

Chiesa dell’Olmo a Cogollo: il monastero attiguo è tra le possibile destinazioni prese in considerazione per l’accoglienza

Don Luca mi pare di aver colto tra le righe un qualcosa che la disturba. Ho capito male?
No, non è questo ma voglio essere chiaro: se tutti i comuni avessero attivato il SAI – Sistema Accoglienza Integrazione – oggi non avremmo queste criticità e non saremmo costretti a parlare di emergenza. I numeri dell’accoglienza sarebbero molto minori e spalmati in modo razionale sui comuni: un’accoglienza integrata che supera la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Un sistema che garantisce in primis chi lo attiva con risorse pubbliche grazie ad un fondo nazionale: una strategia collaudata per uscire da questo cortocircuito. Per assurdo invece oggi, i migranti non hanno nè alloggio nè formazione, ma esiste una forte domanda del mondo di lavoro che ne abbisognerebbe.

Qualcuno, a questo proposito, potrebbe dirle che così ci si occupa dei migranti e ci si scorda degli italiani. Una critica che serpeggia anche tra i social e contribuisce ad un clima teso.
Sono considerazioni che ho già sentito e che conosco, ma vorrei provare a sminarle: dico questo perchè sarebbe come dire che un padre non dà da mangiare ai figli perchè quei soldi gli servono per farli studiare. Welfare e accoglienza sono invece due capitoli di spesa ben distinti e chi dice il contrario forse lo fa sapendo di mentire: la verità e che tra quei migranti ci sono talenti e capacità che vanno colte senza aver paura. Lo dico proprio nell’interesse di noi italiani. Basta vedere i numeri della denatalità per capire che questo sistema non reggerà a lungo: l’America che tanto citiamo come esempio di nazione vincente o la stessa Germania per rimanere in Europa non sono forse l’esempio di una politica di accoglienza che ha dato frutti positivi? Prima queste persone, o almeno chi di loro intenderà restare, si sentirà italiano, prima ne verremo fuori. E l’integrazione, quella vera, sarà una piacevole scoperta per tutti.

Profughi al monastero, agitazione in paese. La Diocesi: ‘Tutto ancora da valutare’