Quando la roccia diventa palestra: a pochi passi dal paese una passione tutta da scoprire

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E’ un mondo tutto da scoprire quello che si cela dietro la passione di arrampicare: diviso, come spesso accade, tra chi giudica senza conoscere e chi lo pratica con un amore e un rispetto per la natura quasi insospettabili. E i posti dove farlo sono molto più vicini di quanto si pensi. A raccontarlo, in un bellissimo e avvincente blog dal nome che è già un programma, ‘Avevo le vertigini’, che svela tra le altre cose una nuova palestra di roccia a pochi passi dall’abitato di Cogollo del Cengio.

La “Palestra della Sengella“, così come è stata ribattezzata dagli appassionati della corda, nasce nei primi anni ’80 e per raggiungerla, una volta trovato posto tra i tornanti del Costo Vecchio – il terzo per la precisione è quello più vicino – bastano poco più di 5 minuti di camminata.

Come riportato nella guida “50 arrampicate sulle Prealpi Venete Occidentali”, i primi due itinerari vennero ‘aperti’ da alcuni membri del GEC di Cogollo.
A metà anni ’80 sono stati effettuati dei lavori da parte del CAI di Thiene ed Arsiero che ha utilizzato per qualche anno la falesia per le esercitazioni. Negli anni ’90 è stata oggetto di lavori da parte di alcuni componenti sempre del CAI di Arsiero e del Gruppo roccia ‘4 gatti’.
Nel 2020 invece, dopo un periodo di degrado e parziale abbandono, il sentiero di accesso e la parte bassa della falesia sono stati resi di nuovo accessibili sempre da parte di alcuni componenti del Gruppo Escursionistico di Cogollo: gli stessi, insieme ad altre persone della zona, hanno poi proseguito con la pulizia delle pareti, il ripristino e la chiodatura di nuovi itinerari sino ad arrivare allo stato attuale. La zona è ora persino abbellita con una panchina dove non è insolito che i bambini di chi arrampica, attendano i genitori godendo di un paesaggio che sazia la vista e consente loro di giocare a diretto contatto con la natura.

“Qualcuno la considera un’attività troppo rischiosa, in qualche caso addirittura poco rispettosa del contesto – racconta Alberto G. che ancora non è stato a Cogollo ma ha alle spalle una notevole esperienza come arrampicatore – ma la verità è che è una disciplina tra le più attente alla sicurezza. Certo, come in tutti gli sport esistono le eccezioni, ma la verità è che chi arrampica non è solo molto concentrato sul proteggere sè stesso, ma anche su quello che fa il tuo compagno di corda, che tu sia il primo o il secondo. I tappi che oggi vengono usati garantiscono una tenuta capace di reggere a pesi di gran lunga superiori a quelli di un corpo in caduta; sfatiamo anche il luogo comune che chi arrampica lo fa ovunque, niente di più falso. Si battono itinerari aperti, solitamente da persone più esperte e come mi hanno raccontato anche nel caso di Cogollo, chi utilizza spesso investe di tasca propria per tenere pulito e per togliere quei sassi potenzialmente pericolosi”.

Parole che ben si sposano con l’aria che si respira in questa palestra naturale dove i segni ‘umani’ sono ridotti ai minimi termini quasi a raccontare un rapporto intimo tra l’ambiente e chi esercita questa passione: “Ti guardi attorno e ti chiedi ‘che ci faccio qui?’ Poi tocchi la roccia – recita un passaggio quasi poetico del blog ‘Avevo le vertigini’ che ben sintetizza le emozioni di chi arrampica – la osservi bene e ti lasci sorprendere senza poter obiettare: è incredibilmente compatta, presenta buchi, fessure e prese che sembra siano state progettate da una natura che sa arrampicare.
È un luogo che solo avanzando riesci a comprendere, eppure sembra non finire: pareva solo bosco, ma le pareti compaiono come immaginarie in un film di fantascienza.
Tratti vergini mostrano linee intuitive e sono pronti per essere chiodati.
Quando ti incammini per tornare, puoi osservare da lontano i profili delle montagne, che disegnano sul cielo quel panorama che ti ha ossessionato tutta la vita o negli ultimi anni, come se ti volesse dire Hey, non te lo dimenticare“.