Va in arresto cardiaco: salvata con le manovre rianimatorie dai figli di 17 e 19 anni

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In ospedale a Santorso i medici li chiamano “eroi” ma non è questo quello che loro si sentono. Di sicuro son stati una squadra che ha funzionato benissimo: Michela e Giovanni Dalla Libera, sorella e fratello, rispettivamente di 19 e 17 anni, hanno letteralmente salvato la vita alla loro madre, andata in arresto cardiaco, applicando le manovre rianimatorie. “La nostra miracolata”, dicono di lei, commossi i cardiologi dell’ospedale dell’Alto Vicentino.

Katia Spillare, però, di tutto il parapiglia che si è creato intorno a lei non ricorda davvero nulla. Michela e Giovanni non lo scorderanno mai, invece, perché la loro mamma, l’hanno fatta rinascere una seconda volta.
E’ accaduto a Sarcedo lo scorso 7 maggio. Katia, 42 anni, educatrice di asilo nido nella scuola dell’infanzia Santa Maria dell’Olmo a Thiene, non ricorda nulla, per questo dice: “Sono loro due che devono raccontare cosa è successo”.
E allora ecco, il loro racconto. E’ domenica mattina e la 42enne, mai un problema di salute, si alza alle sette e prepara la colazione al marito Giuseppe Dalla Libera e al figlio più piccolo, Antonio, che devono partire presto per andare nel trevigiano ad un torneo sportivo. “Mi sa che torno a dormire un po’” dice salutandoli sulla porta e pensando alla giornata che l’aspetta, con un pranzo in famiglia. Fortuna ha voluto non l’avesse ancora fatto, perché così, verso le nove, i figli Michela e Giovanni, in fase di risveglio hanno sentito un grande tonfo nella camera dei genitori e sono corsi subito a vedere cosa fosse successo.

L’ingresso del pronto soccorso all’ospedale di Santorso

“Ho chiamato mia mamma ma non ha risposto, quindi son corsa a vedere insieme con mio fratello” racconta Michela, che ha ultimato gli studi da operatrice socio sanitaria all’Ipsia Scotton di Breganze, un sangue freddo che le ha consentito di prendere in mano la situazione a dispetto anche dei nonni, accorsi subito ma sostanzialmente incapaci di reagire, tanto è stato scioccante quello che si son trovati davanti agli occhi.
Tostissima Michela, invece, con un gran sangue freddo: “La mamma aveva le convulsioni, il collo rigido, tremava tutta e stava diventando cianotica. Subito abbiamo pensato avesse sbattuto la testa su uno spigolo, non abbiamo pensato a un arresto cardiaco. Abbiamo urlato ai nonni di venire, dato che abitano a fianco a noi, e abbiamo avvertito il Suem 118. Ma quando ho visto che i nonni erano troppo agitati per essere d’aiuto, ho chiesto loro di allontanarsi e quando abbiamo realizzato che non respirava e il cuore non batteva, l’operatore del Suem ci ha detto di iniziare a fare il massaggio cardiaco. Ho chiesto a mio fratello, che ha più forza di me, di farlo seguendo le mie indicazioni e i suggerimenti dell’operatore del pronto soccorso al telefono”.

La seconda fortuna di questa storia, sta infatti nel fatto che Michela aveva partecipato a scuola, solo tre giorni prima, al corso di primo soccorso: due ore di teoria e un pomeriggio intero a provare le manovre da attuare in caso di arresto cardio-respiratorio. L’ormai noto Bls (Basic Life Support, supporto di base delle funzioni vitali), che consente di limitare i danni e in alcuni casi di salvare letteralmente la vita a una persona in attesa dell’arrivo di soccorsi.
Che ci hanno messo, da Santorso a casa Dalla Libera in via Ca’ Dotta, solo 12 minuti, di domenica mattina: un tempo che ai due ragazzi è parso infinito.
Una situazione drammatica. “Michela contava e controllava mia mamma e me – racconta Giovanni, che studia informatica all’Itis Chilesotti a Thiene -, io facevo il massaggio cardiaco, andavo avanti come un automa. Seguivamo le istruzioni dell’operatore del Suem che ci ha tenuto concentrati fino alla fine e ci ha ‘mollati’ solo quando ha sentito nella stanza le voci dei colleghi arrivati con l’ambulanza, che ci dicevano ‘bravi ragazzi, adesso andiamo avanti noi’. Ricordo che a un certo punto quando ho fatto una pausa e ho realizzato che non respirava e che il cuore non si sentiva, ho ripreso a farle il massaggio piangendo disperato, sicuro che stesse morendo. Aveva le labbra viola. Ho continuato, non so come ho fatto”.

La situazione, a detta degli stessi medici, era estremamente critica: i sanitari del Suem hanno dovuto defibrillarla quattro volte, per una mezz’ora, prima di stabilizzarla e caricarla in ambulanza, dove Katia è stata anche intubata. Intanto, papà Giuseppe, avvertito fin da subito dai suoi straordinari ragazzi, è tornato velocissimamente da Breda di Piave: quando è entrato in pronto soccorso all’ospedale di Santorso, un’infermiera gli si è avvicinata e gli ha detto “i suoi figli hanno salvato la vita della loro madre”.

La situazione però non era risolta: Katia, sebbene stabilizzata, è andata in arresto nelle ore successive, in rianimazione, altre due-tre volte: è sempre stata ‘ripresa per i capelli’ dai medici che l’avevano messa in coma farmacologico. “Mi sono risvegliata dal coma mercoledì, non ricordo niente, dal venerdì precedente. Mi dicono che ho detto e fatto delle cose, in rianimazione, ma io ho un vuoto assoluto”.
Katia è tornata a casa dall’ospedale dopo 24 giorni di ricovero. A distanza di più di due mesi, è stata dichiarata sana come un pesce, quello che le è successo non le ha lasciato conseguenze ma viene monitorata costantemente a distanza grazie a un micro-device impiantato nell’arteria polmonare e dovrà fare degli accertamenti più approfonditi a Pavia perché, ad oggi, non le è stata riscontrata alcuna patologia che giustifichi quanto le è accaduto.

Michela Dalla Libera

Giovanni, invece, non è più riuscito a entrare nella camera da letto dei suoi finché sua mamma non è ritornata a casa dall’ospedale. La sua scuola a fine anno gli ha mandato una breve lettera complimentandosi per come è riuscito a portare a termine l’anno nonostante quello che era accaduto.

Michela, che si è diplomata lo scorso 29 giugno scorso, vuole iscriversi a scienze dell’educazione. Più urgente, però, adesso per lei è lanciare un appello, condiviso anche dal medico di famiglia, Federica Scalcerle, che per questa storia ci ha fatto da tramite: è importante che tutte le scuole investano nei corsi di rianimazione cardio-polmonare e nel primo soccorso.

“La mia scuola ha scelto di formarci alle manovre Bls – dice Michela – ma tanti altri istituti non lo fanno. Invece la nostra storia dimostra quanto sia fondamentale che tutti i ragazzi della mia età siano in grado di affrontare una situazione come abbiamo fatto io e mio fratello. E’ davvero tanto importante. Non siamo stati eroi, ma abbiamo saputo cosa fare in  una situazione di emergenza”. Sangue freddo e consapevolezza in faccia all’età, per questi due ragazzi che hanno ridato la vita a chi li ha generati. Davvero chapeau.