Approvata l’autonomia differenziata: ecco cosa cambierà. Ma non sarà una strada in discesa

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Ha ottenuto martedì scorso il via libera del Senato, festeggiato dai drappi col leone di San Marco di alcuni esponenti del Carroccio e dai tricolori esposti dai banchi del PD, il disegno di legge Calderoli, provvedimento che mira a implementare il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione: 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti.

Ma cosa prevede e cosa cambierà di fatto con l’autonomia differenziata?
La legge, messa a punto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata, prevede che possano essere attribuite alle regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia in 23 materie: dalla salute all’istruzione, dallo sport all’ambiente, passando per questione energia, trasporti, cultura, commercio con l’estero ma anche l’organizzazione della giustizia di pace.

L’autonomia differenziata prevede anche la possibilità, da parte delle stesse regioni, di trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni dei servizi per l’utilizzo di quelle risorse sul proprio territorio: un tema particolarmente caro alla Lega sulla scia di quanto già avviene in buona misura nelle regioni a statuto speciale.

La paura che venga meno un principio solidaristico e cosa sono i Lep
Se una parte di maggioranza ha esultato per il traguardo raggiunto, la componente di Fratelli d’Italia è sembrata più tiepida e tesa a rassicurare forse anche il proprio elettorato rispetto al mantenimento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale come conditio sine qua non cui è subordinata l’attuazione e l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Si tratta dei cosiddetti lep: il livello minimo di servizi da rendere al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, in un più volte ribadito concetto di cooperazione e solidarietà nazionale che non può venire meno.

Tutto da definire, inoltre, il nodo delle risorse finanziarie: per portare in porto la partita dell’autonomia, non ci dovranno essere aggravi per la finanza pubblica. E attenzione alla clausola di salvaguardia: il governo centrale potrà sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni quando si riscontri che gli enti interessati siano inadempienti rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia grave pregiudizio per la sicurezza pubblica.

L’iter che attende il disegno di legge: davvero solo una formalità?
Il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl per varare uno o più decreti legislativi che determino livelli e importi dei Lep. A quel punto Stato e Regioni, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un’intesa che potrà durare fino a 10 anni e poi essere rinnovata, ma si potrà anche terminare anticipatamente con un preavviso di almeno 12 mesi. L’iter per ottenere lo status di regione autonoma non sarà comunque un passeggiata: c’è lo schema di base tra Stato-Regione, poi gli emendamenti di Conferenza unificata e commissioni parlamentari, per finire con l’approvazione del Consiglio regionale e ancora un disegno di legge del Consiglio dei ministri che il Parlamento dovrà esaminare e votare.

A quel punto il governo Meloni sarà a scadenza – naturale – e bisognerà capire quanto al suo partito gioverà impegnarsi troppo su una partita oggettivamente più premiante per l’alleato Salvini.

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