Caccia, stop agli spari su uccelli migratori. Lo impone il Tar, ma si attende la contromossa della Regione

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Levata di scudi da parte delle associazioni venatorie sparse per il Veneto all’indomani della decisione del Tar del Veneto di vietare la caccia agli uccelli acquatici del nostro territorio. Si tratta di un anticipo sulla data originariamente prefissata per la chiusura dell’attività venatoria, da applicare con carattere di retroattività a partire dal giorno di emanazione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Vale a dire, da venerdì scorso, accorciando di 10 giorni la finestra temporale – il limite era indicato al 30 gennaio in origine – dedicata ai fucili puntati sui volatili (non protetti) che stazionano in aree d’acqua.

Sono 12 in tutto, tra cui il germano reale e altri volatili presenti in particolare sul Delta del Po, con analogo provvedimento emesso per l’area confinante dell’Emila Romagna. La lista completa comprende porciglione, frullino, folaga, beccaccino, gallinella d’acqua, alzavola, mestolone, canapiglia, fischione, codone e marzaiola.

Una significativa vittoria ma  parziale, ottenuta da parte delle associazioni animaliste e in particolare della Lac (Lega per l’Abolizione della Caccia), visto che la Regione Veneto ha annunciato tramite la Giunta e l’assessore Cristiano Corazzari di essersi attivata al fine di ripristinare il calendario venatorio già programmato attraverso provvedimenti d’urgenza. Un “braccio di ferro” che continua, e che si appresta alla resa dei conti finale, con i giudici amministrativi coinvolti nella sfida a carte bollate, esposti e sentenze con esborsi monetari ingenti per guadagnare o ridurre, a seconda del punto di osservazione di parte, l’arco temporale concesso per legge alla cacciagione di queste specie. A indurre il Tar ad accogliere il ricorso dei legali della Lac era stato in particolare il report redatto dall’Ispra, l’ente competente che si occupa di ricerca e tutela dell’ambiente e della fauna.

Di ieri il comunicato sull’argomento inviato tramite portavoce dal consigliere regionale di Fratelli d’Italia Joe Formaggio, praticante che spesso si fa ritrarre con fucile in spalla. “È
inaccettabile che i cacciatori, nonostante le tasse che pagano, debbano vedersi vietato un loro diritto sacrosanto. Dunque la giunta regionale deve attivarsi sin da subito affinché si dia un segnale politico di vicinanza a questa categoria contro ogni tipo di deriva ideologica di stampo ambientalista e animalista. La Regione Veneto deve stare dalla parte della caccia e dei cacciatori, facilitando con tutti gli atti la loro attività e la loro passione”.

Un germano reale in acqua (archivio)

Sul fronte opposto si esprime in merito Andrea Zanoni, consigliere di minoranza del Partito Democratico sempre in Regione Veneto. “É una vittoria importantissima per chi ama la natura, per la fauna selvatica e per chi crede nella legalità. Si tratta nel contempo di una sonora batosta per la Giunta Zaia e l’assessore Corazzari, che non hanno voluto seguire mai le indicazioni tecnico scientifiche dell’Ispra, utili ad evitare gravi danni al patrimonio faunistico costituito dagli uccelli migratori, già martoriati dai cambiamenti climatici, dal consumo di suolo e dall’agricoltura intensiva ad alto tasso di utilizzo di pesticidi”.

Sull’ipotesi di una “contromossa” a rapido giro di porta da parte del governo in Regione, a Zanoni si accodano anche Cristina Guarda di Europa Verde, Arturo Lorenzoni e Anna Maria Bigon. “Qualsiasi Giunta rispettosa della legge – aggiunge Zanoni – sceglierebbe di non imbarcarsi in contenziosi giudiziari in presenza della giurisprudenza chiara inequivocabile come la sentenza. Eppure, a quanto ci risulta, il blitz per emanare un provvedimento che va in senso contrario alla sentenza sarebbe imminente. Uno sporcarsi le mani per una riapertura che sarebbe da un lato irrispettosa della decisione dei giudici e della tutela di un patrimonio comune e transnazionale come gli uccelli migratori, protetti da norme europee a nome di oltre 500 milioni di cittadini. Dall’altro lato, produrrebbe un danno ambientale irreparabile oltre al rischio personale di incorrere in un danno erariale, con sanzioni da mezzo milione di euro come accaduto al presidente della Provincia di Bolzano”.