Peste suina, in Veneto nessun caso ma l’export è calato lo stesso del 10%

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

“Già adesso, che non si è verificato alcun caso di peste suina africana in Veneto, stiamo registrando una diminuzione dell’export delle carni suine del 10%, soprattutto nei Paesi asiatici. Dovesse arrivare anche qui, nella nostra Regione, la psa (peste suina africana, n.d.r.) comporterebbe il blocco di un intero comparto”.

Così il presidente di Cia Veneto, Gianmichele Passarini, oggi all’incontro che si è tenuto a Palazzo Balbi, assieme all’assessore regionale alla Sanità Manuela Lanzarin e alle altre organizzazioni agricole, per fare il punto sulla psa. “Quando un’azienda suinicola chiude i battenti, poi non riapre più”, ha aggiunto.

Fra le richieste avanzate da Cia Veneto all’amministrazione regionale, “la certezza dei protocolli da adottare; ovvero, chiediamo che le norme non cambino continuamente”.
Non solo: “Oltre ai ristori per i danneggiamenti diretti, ovvero quei contributi previsti dalla legge per ogni capo abbattuto – ha dichiarato – le autorità competenti sono chiamate a redigere fin d’ora un programma di rimborsi a favore di quelle aziende che, eventualmente, sconteranno il fermo della produzione con conseguenti riduzioni delle operazioni di macellazione, la mancata vendita e lo stop alle esportazioni”.

Foto di Hans da Pixabay

Serve, inoltre, un piano ad hoc finalizzato allo smaltimento delle carcasse dei suini “per non incorrere in rischi di tipo ambientale”. “Se questa malattia si diffondesse nel nostro territorio, milioni di suini sani, destinati principalmente alla produzione dei prosciutti Dop, verrebbero prematuramente abbattuti”. “Ciò comporterebbe dei danni ingenti – ha concluso – e in taluni casi permanenti alla filiera della salumeria regionale e nazionale”.

L’emergenza peste suina in Italia
Come spiega un articolo de Il Post, il primo caso di peste suina africana (malattia virale che ha un altissimo tasso di mortalità) fu registrato in Italia il 7 gennaio del 2022 in provincia di Alessandria (Piemonte), quando il corpo di un cinghiale risultò positivo all’infezione. A maggio dello stesso anno furono rilevati casi anche in Lazio, Calabria e Campania. Il più importante focolaio di questa malattia (letale soprattutto per maiali e cinghiali ma non trasmissibile all’essere umano) è stato rilevato in otto allevamenti intensivi in provincia di Pavia. Dato che non esistono cure, né vaccini, il sistema più comune per fermare la diffusione del virus è abbattere gli animali contagiati o considerati a rischio di contagio: di recente nel pavese sono stati uccisi quasi 34mila maiali in vari allevamenti intensivi, di cui oltre 20mila in via preventiva, sviluppando una grande polemica con il fronte animalista in quanto lo sterminio ha riguardato anche una fattoria dove animali salvati dal macello, vivevano in libertà e non risultavano contagiati.