15 anni fa la Grande Alluvione. “Con le città-spugna l’acqua torna ad essere risorsa”

L’acqua che da fonte primaria di vita è diventata minaccia di morte, ma che può tornare ad essere risorsa. Sono passati esattamente 15 anni dall’alluvione che mise in ginocchio Vicenza e da quel 1 novembre 2010 ogni episodio di forte pioggia fa scattare l’allerta. La Grande Alluvione non fu solo un disastro locale, ma lo spartiacque che insegnò ai vicentini a percepire l’acqua come una minaccia.
L’anniversario ci porta infatti al centro di un problema climatico sempre più preoccupante e, come ben sanno agricoltori e allevatori, quella stessa acqua che fa paura per la sua abbondanza, terrorizza anche per la sua assenza creando territori a rischio desertificazioni e annientando colture e vite animali.
“La risorsa più essenziale per la vita è diventata un elemento ingovernabile e spaventoso – spiega Matteo Favero, presidente di Globe Italia – Associazione Nazionale per il clima – Bisogna invertire il paradigma e ripristinare il ciclo naturale dell’acqua”.

Le alluvioni
“Le immagini che abbiamo visto in Veneto quindici anni fa le abbiamo viste ripetersi negli anni con crescente frequenza: nelle Marche, in Toscana, in Emilia Romagna – spiega Favero – Ogni volta ci ripetiamo che non possiamo permettercelo, sia perché non possiamo accettare che persone perdano la vita in tragedie evitabili, sia perché tutta la macchina degli aiuti ci dimostra ogni volta che i danni sono economicamente insostenibili. Non possiamo permetterci di considerare l’acqua solo una minaccia e non possiamo permetterci di ignorare il pericolo”.
Secondo un’indagine dell’Agenzia Europea per ambiente sulla vivibilità climatica, il Veneto è la terza regione in Italia e tra le prime nel continente per rischio di eventi estremi. Tornado, afa e notti tropicali, siccità saranno purtroppo condizioni sempre più frequenti.
Il naturale ciclo dell’acqua
Il ciclo dell’acqua prevede che l’acqua piovana finisca nelle falde acquifere, nei fiumi, diventi una risorsa, per poi tornare sotto forma di nuova pioggia. La rottura del ciclo dell’acqua è data, ad esempio, dall’intasamento delle reti fognarie in caso di picchi di piena o forti precipitazioni, perché le reti non scaricano e le fognature non sempre riescono a smaltire l’acqua.
“Dobbiamo invertire il paradigma che ci ha portato per anni a pensare alle acque fluviali e meteoriche come qualcosa da respingere e allontanare, trascurando la possibilità di gestirne in maniera sostenibile il ciclo e rispettarne il valore, sostiene Favero.

Le città-spugna come soluzione
“Oggi si parla finalmente di “città spugna” – spiega il presidente di Globe Italia – Città capaci di replicare i modelli di drenaggio dei sistemi naturali utilizzando soluzioni economiche e a basso impatto ambientale per drenare le acque superficiali mediante raccolta e pulizia, prima di consentirne il lento rilascio nell’ambiente, interventi preziosi anche per le ormai frequenti siccità. Questa è innovazione, questo è sviluppo sostenibile, che utilizza le risorse naturali come un bene prezioso, invece di subirne la minaccia due volte, quando è abbondante e quando è carente. Da una questione seria può nascere un’opportunità per vivere città più sicure, verdi e più belle, sane e resilienti anche nella qualità dell’aria che tutti noi respiriamo”.
“Occuparsi dell’ambiente non è ideologia”
“Il motivo di questa duplice paradossale minaccia, l’abbondanza di acqua e la sua mancanza, è che qualcosa si è rotto, ed è il ciclo naturale dell’acqua – sottolinea Favero, che è anche responsabile ambiente del Pd Veneto – La cattiva notizia è che, come spesso accade, l’abbiamo rotto noi, con un consumo del suolo eccessivo e politiche poco consapevoli e lungimiranti. La buona notizia è che possiamo risolverlo noi. Per farlo occorre prima di tutto togliere dal tavolo il pregiudizio che parlare di ambiente sia un discorso ideologico. La cura dell’ambiente e del territorio non è la battaglia di una parte, ma un tema che si intreccia con la sicurezza delle famiglie e delle imprese, la difesa del lavoro delle aziende agricole, e che stimola il potenziale innovativo del nostro territorio e del suo tessuto produttivo. Tutte cose molto concrete. Ciò non significa fermare lo sviluppo, ma creare uno sviluppo che sfrutti a proprio favore le potenzialità dell’ambiente, invece di renderlo un elemento ostile e pericoloso. Il ciclo dell’acqua è un esempio da manuale”.

Il ruolo della politica
Cosa bisogna fare è una conseguenza: “Dobbiamo accelerare le procedure per la pulizia degli invasi, realizzare un piano integrato regionale di gestione delle acque che permetta di coinvolgere tutti i soggetti pubblici e privati migliorando così il governo del settore, adottare un efficace bilancio idrico, istituire una cabina di regia regionale che eserciti funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contenimento e il contrasto della crisi idrica connessa alla drastica riduzione delle precipitazioni e integrata con la presenza delle Autorità di Bacino Distrettuale del Veneto, creazione delle AFI – Aree Forestali di Infiltrazione nelle zone di alta pianura utili a raccogliere e conservare l’acqua, restituendola successivamente in falda. E poi serve anche lavorare sulla salubrità dell’acqua, perché se vogliamo che sia una risorsa, non possiamo accettare che sia contaminata con i PFAS – conclude Matteo Favero – Anche in questo caso parliamo di questioni molto concrete, che devono trovare consenso trasversale nelle forze politiche”.
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