Frode al fisco per oltre 20 milioni: nel mirino la rete delle pulizie nelle catene alberghiere

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In ballo ci sarebbero 22 milioni di euro, che secondo la Guardia di finanza di Milano sono stati sottratti con frode al fisco italiano attraverso una rete di “affari sporchi” condotti da un’agenzia specializzata nelle pulizie in hotel, alberghi e ristoranti, con diramazioni nel Vicentino.

Alcune perquisizioni sono state effettuate nei giorni scorsi a Vicenza, in particolare nella sede del Gruppo Cegalin-Hotelvolver, con la collaborazione chiesta e ottenuta dai colleghi vicentini nell’ambito di un’operazione denominata “Dirty Cleanings“, traducibile con la locuzione “panni sporchi”. Ad essere indagati sono alcuni dirigenti dell’azienda berica.

Si tratta in realtà di una vasta inchiesta che interessa parecchie province del nord e alcune del centro Italia, toccando le metropoli Milano, Roma, Firenze e Genova e le città venete di Vicenza e Padova, ma anche Brescia, Sondrio, Como nel settentrione, Perugia e Fermo in Umbria e Marche. Una ventina le perquisizione disposte, con l’intento di ricostruire il giro di fatture considerate fittizie prodotte da società cartiere che dichiaravano servizi di pulizia di fatto inesistenti, in strutture ricettive di mezza Italia. Sotto la lente d’ingrandimento delle Fiamme Gialle ci sono ora i contratti di appalto tra società fornitrici e alberghi.

Il cuore dell’indagine in corso avrebbe smascherato un meccanismo attraverso il quale la società, tra il 2013 e il 2017, avrebbe esternalizzato il lavoro avvalendosi di cooperative senza che nessuno tra gli attori in causa versasse mai i contributi previdenziali per conto dei lavoratori, come impone la legge. Allo stesso modo sarebbe stata completamente evasa anche l’Iva, utilizzando un articolato sistema di false fatture con introiti dirottati su conti correnti esteri. Sotto esame sono le posizioni di ben 7 mila collaboratori che hanno avuto a che fare con la società vicentina tra il 2013 e il 2017.

In particolare, ricostruendo la filiera della manodopera che aveva destato sospetti concreti dopo i primi controlli delle Fiamme Gialle lombarde, è emerso che i rapporti di lavoro con le catene alberghiere committenti venivano schermati da diverse “società filtro”, riconducibili agli stessi imprenditore, che si avvalevano di cooperative (definite come società serbatoio) succedutesi nel tempo, trasferendo la manodopera dall’una all’altra. Con totale omissione in maniera sistematica del versamento dell’Iva e di oneri di natura previdenziale, attraverso l’utilizzo anche di indebite compensazioni.