Gianni, da vicesindaco a senzatetto, ma le istituzioni si voltano dall’altra parte

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Gianni ci fa strada in corridoio e ci apre la porta di quella che da un anno è la sua casa. Quando dopo più di un’ora usciremo da quella stessa porta, ci dirà: “Se dovessi tornare in strada ancora, morirei”.

La sua casa ora è un monolocale più bagno a Casa Beato Claudio Granzotto, la struttura di housing sociale messa in piedi dalla Caritas Diocesana negli spazi ristrutturati del convento dei frati di Santa Lucia in via Pasi, a Vicenza. Prima di arrivare qui, Gianni ha dormito sotto i portici di Monte Berico e in stazione. “In strada bisogna riposare sempre con un occhio mezzo aperto, perché ti rubano anche le scarpe”, racconta.

Gianni, o meglio Gian Nicola Zanin, 66 anni fatti da poco, ha una storia incredibile da raccontare. Una vicenda che insegna come a chiunque possa capitare, per le vicende avverse della vita, di perdere tutto quello che si ha e non poter fare più conto su nessuno, perché tutti ti voltano le spalle, specie chi faceva parte di quel mondo che ti eri costruito con impegno e generosità d’animo.

Gianni, infatti, per 17 anni è stato amministratore comunale a Costabissara, rivestendo anche per tre mandati incarichi di assessore (allo sport, al personale, ai rapporti con le associazioni, alla protezione civile e al commercio). E’ stato anche vicesindaco con la giunta Forte. In quelle vesti, e anche come persona molto impegnata nella promozione dello sport in paese, in quasi quarant’anni di gente bisognosa ne ha aiutata parecchia, dando anche ospitalità e residenza a casa sua. Ospitalità e residenza che adesso invece nessuno, se non la Caritas, ha dato a lui. “Ma la colpa è mia – continua a ripetere facendo gli occhi lucidi – perché per vergogna non ho mai chiesto aiuto. Invece qui con gli operatori, e anche grazie agli incontri con una psicologa, ho imparato a liberarmi di questi atteggiamenti”.

Gianni ha un passato da funzionario regionale ed è anche disabile: a un anno e mezzo è stato colpito da un’emiparesi spastica alla parte destra del corpo, che gli ha lasciato parecchie difficoltà di deambulazione. “Da ragazzino sono stato operato e poi la mia famiglia mi ha spedito a Porto Potenza Picena, in un istituto di riabilitazione motoria. Ci sono rimasto fino alla maturità ed è stata la mia salvezza. Ero chiuso, asociale, vivevo malissimo la mia situazione, ma vedere tanta gente che stava peggio di me ed era serena mi ha dato la spinta a reagire. E’ stato così che ho iniziato ad impegnarmi nella vita sociale e sportiva di Costabissara, quando sono tornato”.

Tutto fila liscio fino al 2010, quando va in pensione: un punto di svolta, perché dopo anni di impegno civico Gianni molla tutto e va a convivere con una donna a Montecchio Maggiore. “E’ stato l’errore più grande della mia vita” sottolinea sommesso adesso. Nel giro di poco tempo infatti lei lo coinvolge a sua insaputa in giri loschi e lui si trova intestate più di dieci autovetture, senza avere la patente, e iniziano a fioccare multe, perché le auto vengono usate anche per rapine. Una sera i carabinieri lo vanno a cercare in giunta comunale: inizia un’odissea giudiziaria che poi lo vedrà scagionato ma che allora, nonostante la pensione, lo mette in grossa difficoltà economica. Con la famiglia poi i rapporti sono deteriorati da tempo, a causa di altre vicissitudini dovute alla sua disponibilità d’animo, di cui più di qualcuno ha approfittato. Ai guai giudiziari, si aggiunge anche lo sfratto, perché la convivente, poi sparita, si teneva i soldi che lui le dava per pagare l’affitto. E insieme allo sfratto, nel giro di un anno, c’è la cancellazione dall’anagrafe del Comune di Montecchio Maggiore e con essa la possibilità di vedersi riconosciuti diritti essenziali come quello di curarsi: Gianni nel 2013 diventa uno degli invisibili che girano per Vicenza.

Con solo uno zainetto in spalla, da settembre a novembre va a dormire sotto i portici di Monte Berico e per due mesi si ciba solo con acqua e zucchero: “Non avevo il coraggio di chiedere un panino. Sono sempre stato bravo a chiedere per gli altri, ma per me non son mai stato capace di farlo, fingevo di stare bene. A volte erano proprio altre persone che vivevano in strada come me, straniere, che vedendomi affamato andavano a recuperarmi qualcosa da mettere sotto i denti”. Una sera incrocia in centro a Vicenza anche il sindaco Variati, si conoscono bene per la comune attività amministrativa: il sindaco lo riconosce e lo chiama, gli chiede cosa fa a quell’ora in giro da solo per la città, Gianni gli spiega la sua condizione di senzatetto. “Vieni a trovarmi che vediamo di trovare una soluzione”, gli dice; ma lui, anche questa volta per vergogna non si presenta.

Della sua pensione, che gli permetterebbe di vivere dignitosamente, gli restano in tasca ogni mese solo 600 euro, il resto se ne va in automatico per pagare i debiti contratti in precedenza. Gianni entra però in contatto con i volontari Caritas e Croce Rossa che di notte girano la città per avvicinare i senza dimora e viene convinto a passare l’inverno presso il dormitorio di Contrà Torretti. E’ il 2014. L’anno dopo trova una stanza dove vivere con altre persone in zona Ferrovieri, ma la convivenza è difficile ed è costretto ad andarsene. Fra varie peripezie e periodi in strada – sempre dissimulando la gravità della sua situazione verso l’esterno – arriva il giugno 2016: gli scade la carta d’identità e non risultando iscritto in nessun Comune, gli viene sospesa momentaneamente anche la pensione.

Lo stato di prostrazione è totale, per lo stress Gianni si ammala e viene ricoverato in ospedale, ma non avendo una residenza, rischia di doversi pagare tutte le spese. La legge, però, imporrebbe all’ultimo Comune di residenza, e a scalare quelli precedenti o quello di nascita, di farsi carico della sua situazione, iscrivendolo nella via anagrafica fittizia di cui ogni comune si dovrebbe dotare (ma che metà dei Comuni vicentini non ha istituito, mentre chi ce l’ha è molto parco nell’iscriverci persone che poi deve prendersi in carico). Costabissara la via anagrafica non ce l’ha e quando al Comune viene chiesto di aiutarlo in qualche modo, la risposta è negativa: “Agli operatori Caritas che hanno chiesto una stanza per me il sindaco di Costabissara ha risposto ‘Abbiamo persone da sistemare in paese, prima di lui'”. Di fronte alla burocrazia e all’indisponibilità delle amministrazioni comunali, Vicenza compresa, il direttore della Caritas diocesana, don Enrico Pajarin, compresa finalmente da Gianni la sua situazione reale (fino a quel momento sottaciuta), decide di garantirgli la residenza in Caritas.

Per Gianni inizia così una nuova fase: entra a Casa Beato Claudio dove si trova da più di un anno, gli viene data una cameretta piccola, poi una un po’ più grande. “Il prossimo dicembre però spero di riuscire a sganciarmi da qua, voglio lasciare libera la stanza per altre persone in difficoltà e trovare una soluzione abitativa dignitosa da pagare con quel che resta della mia pensione”.

“Tanti mi hanno chiuso le porte, ma la responsabilità prima di tutto è mia: mi sono isolato e non ho chiesto aiuto per pudore” torna ancora una volta a sottolineare. “I miei ex colleghi amministratori? Mi son sentito spremuto come un limone e poi lasciato solo. Ho passato anni davvero bui, ma tutto sommato mi sono serviti, perché ho capito cosa vuol dire essere un senzatetto. In Veneto non c’è rispetto verso chi è in difficoltà, da parte delle istituzioni in particolare. In strada mi sono preso anche sputi e schiaffi dai passanti, che mi dicevano di andarmene. Per fortuna però ci sono anche persone di buona volontà e realtà come la Caritas. Qui mi hanno insegnato a volermi bene”.

“Dalla pensione – riflette ancora Gianni – vengono trattenute le addizionali comunali, pago le tasse ma i comuni non mi hanno dato la residenza e senza residenza non sei nulla. Se mi sento trattato peggio degli stranieri che arrivano con i barconi? Si, è una cosa che ho pensato, ma credo che il problema non sia questo. E’ una questione culturale, perché le istituzioni danno per scontato che un italiano, a differenza di loro, abbia sempre una famiglia alle spalle, invece non è così. La verità è che sul sociale la politica territoriale è debole, si guarda più a far quadrare il bilancio che non alle persone. Diventa solo una questione di soldi, invece basterebbero sensibilità e volontà. I Comuni hanno degli obblighi in merito, dovrebbero capire che ogni persona, di qualsiasi colore sia, è un essere umano. Una persona in difficoltà è una persona e basta”.